Catania: operazione antimafia “minecraft”

È stata denominata “Minecraft” l’operazione antimafia condotta questa mattina a Catania dagli agenti della polizia di Stato. Lo scorso 26 gennaio gli agenti, insieme ai reparti speciali, coordinati dalla Dda etnea, hanno eseguito una vasta operazione contro il clan mafioso Cappello-Bonaccorsi, decapitandone i nuovi assetti.

Le perquisizioni eseguite hanno permesso il rinvenimentod i un vero e proprio arsenale nella disponibilità del gruppo, di significative quantità di droga e denaro in contante. Gli ulteriori e inediti dettagli verranno illustrati alle 10.30 nella sala riunioni del X reparto mobile di Catania.

Nel corso dell’operazione sono fini in manette: Massimiliano Cappello, 54 anni; Salvuccio Lombardo junior, detto “Salvucciu u ciuraru”, 27 anni; Sebastiano Cavallaro, detto “Seby” o “baffo”, 29 anni; Renzo Cristaudo, 28 anni; Alessio Finocchiaro, 27 anni; Emilio Gangemi, 46 anni; Giuseppe Spartano detto “u cussotu”, 32 anni; Costei Suru, detto “Mariu u rumenu”, 37 anni; Giuseppe Distefano alias “pumpa”, 44 anni; Giuseppe Francesco La Rocca alias Colombrino, 26 anni; Francesco Cavallaro, 36 anni; Domenico Alessandro Messina, 28 anni, già sottoposto per altra causa agli arresti domiciliari; Giusi Messina, 46 anni; Giovanni Santoro, detto “Giuvanni sett’anni”, 38 anni. Il provvedimento del Gip, inoltre, è stato notificato in carcere a Giuseppe Paolo Rapisarda, detto “Paolo cupittuni”, 39 anni, già detenuto per altra causa.

Tutti gli arrestati sono ritenuti responsabili dei reati di associazione di tipo mafioso in quanto appartenenti al clan mafioso Cappello-Bonaccorsi con l’aggravante di essere l’associazione armata, associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di droga e spaccio in concorso delle stesse sostanze con l’aggravante di aver agevolato il clan Cappello-Bonaccorsi; detenzione illegale e porto in luogo pubblico di diverse armi clandestine da guerra nonché ricettazione delle stesse in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan Cappello-Bonaccorsi.

A capo dell’organizzazione criminale c’erano Massimiliano Cappello e Salvuccio Lombardo junior. Il provvedimento è scaturito dall’esecuzione di decreti di fermi emessi dalla procura il 28 gennaio a seguito dell’intervento operato dalla squadra mobile di Catania e dal servizio centrale operativo di Roma che ha permesso il rinvenimento di numerose armi da fuoco.

Le indagini condotte dalla squadra mobie di Catania e dal servizio centrale operativo, erano state avviate a seguito della scarcerazione di Cappello, ratello dello storico leader Turi Cappello, avvenuta il 16 giugno del 2019, finalizzate a monitorare la riorganizzazione del clan mafioso, duramente colpito dai numerosi provvedimenti giudiziari succedutisi senza soluzione di continuità negli ultimi anni.

Le indagini condotte nei confronti di Massimiliano Cappello hanno permesso di individuare uno dei più fedeli collaboratori di quest’ultimo. Stiamo parlando di Emilio Gangemi che durante il periodo delle indagini, è emerso che ricopriva il ruolo di factotum di Cappello, essendo questi limitato negli spostamenti per via della sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza di polizia.

Era stato Cappello a riprendere in mano le fila del clan, tanto da organizzare presso la sua abitazione incontri con esponenti storici dell’organizzazione in parola, talora fissati in abitazioni di terzi, estranei al clan, ma a disposizione degli indagati per scongiurare eventuali controlli da parte delle forze dell’ordine.

Dalle indagini è anche emerso che Cappello, insieme a Gangemi, gestiva una piazza di spaccio nel popolare quartiere di San Giovanni Galermo, fattivamete aiutato da Giuseppe Paolo Rapisarda, detto “Paolo cupittiuni” che sovrintendeva alle attività illecite di offerta in vendita e spaccio di droga.

Il clan Cappello da sempre è stato caratterizzato dalla suddivisione in squadre operanti nei diversi quartieri cittadini.

Questo è stato ulteriormente riscontrato nel corso dell’indagine che ha permesso di individuare, oltre alla squadra facente capo a Cappello, anche la frangia riconducibile a Lombardo jr, figlio di Salvatore Lombardo, detto “u ciuraru”, cugino di Turi Cappello.

Il giovane Salvuccio Lombardo jr nonostante la giovane età era a capo della squadra più pericolosa della consorteria mafiosa in quanto dotata di una notevole disponibilità di armi che aveva la sua base operativa nei villaggi balneari di Campo di Mare e Ipocampo di Mare, siti nel parco dell’Oasi del Simeto all’estrema periferia sud di Catania.

I due villaggi costruiti a ridosso del mare e quindi già di per sé difficilmanete accessibili erano stati non solo colonizzati dagli indagati, ma trasformati in veri e propri fortini presidiati da impianti di video sorveglianza e da vedette per prevenire qualsivoglia intrusione da parte di forze di polizia o da soggetti non autorizzati.

A questo proposito, temendo di essere destinatari di misure cautelari, i sodali non solo trascorrevano le notti nei pressi degli uffici di polizia, per monitorare l’eventuale uscita dei mezzi che potessero lasciare presagire l’esecuzione di provvedimenti di cattura, ma avevano anche pianificato l’installazione di telecamere in corrispondenza di punti di interesse, tra i quali anche la sede della squadra mobile.

Lombardo era attivamente aiutato da Sebastiano Cavallaro al quale il gip ha riconosciuto il ruolo di organizzatore, preposto alla gestione degli affari riconducibili illeciti del gruppo di Salvuccio Lombardo, tra cui, principalmente, il traffico di un particolare tipo di sostanza stupefacente denominata “amnesia” proprio in relazione agli effetti prodotti sul fisico di chi la assumme.

I due sodali  potevano contare sulla stabile partecipazione all’organizzazione dedita al traffico di droga di: Francesco Cavallaro, Giuseppe Francesco La Rocca, Giuseppe Spartano, Giuseppe Distefano e Renzo Cristaudo. Nei confronti degli ultimi due il gip ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza anche del delitto di associazione di stampo mafioso.

Il 20 novembre del 2020, nel corso delle indagini, gli agenti avevano sequestrato 2.130 kg di droga in provincia di Messina. Due corrieri la stavano trasportando. La droga era stata commissionata da Giusi Messina e dal figlio Domenico Alessandro Messina, quest’ultimo all’epoca dei fatti sottoposto agli arresti domiciliari.

L’ordinanza emessa dal gip nei confronti dei due familiari è stata notificata al loro domicilio a Milazzo. Nell’abitazione di Francesco Cavallaro, inoltre, in occasione dell’intervento della squadra mobile di Catania e del servizio centrale operativo del 28 gennaio sono stati trovati e sequestrati 22 kg di marijuana, strumenti per la pesatura e materiale atto al confezionamento.

La perquisizione compiuta nell’abitazione dell’indagato Giuseppe Francesco La Rocca e presso l’attigua dimora confinante ha permesso agli investigatori di trovare una vera e propria serra per la coltivazione della marijuana. Qui si trovavano 73 piantine e tutta l’apparecchiatura necessaria alla cura e alla crescita delle stesse piante.

Il traffico illecito gestito dal clan fruttava molto come dimostrano i 188.000 sequestrati in banconote. Il gruppo aveva un alto grado di pericolosità, soprattutto per la disponibilità di una vera e propria santabarbara e all’abitudine degli indagati di girare armati.

Come dimostrato in corso di indagine, la custodia e la manutenzione dell’arsenale erano affidate a Distefano e Suru, persone di estrema fiducia ed abili nel maneggio delle armi. Proprio nella casa di Distefano venivano sequestrati 4 giubbotti antiproiettili e le seguenti armi comprese di munizioni. Altre armi erano state trovate e sequestrate nelle pertinenze del’’abitazione di Sebastiano Cavallaro.

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