Messina: venerdì su Rai3 il documentario sui Nebrodi

C’è anche Tortorici con la sua pasta reale fra i paesi raccontati da “la buona vita”, il documentario che diretto da Eugenio Manghi che andrà in onda venerdì 7 maggio su Rai3 alla trasmissione Geo. Verranno raccontati luoghi, mestieri e tradizioni di una Sicilia operosa. Le immagini sono state girate tra Tortorici, Galati Mamertino e Alcara Li Fusi, per poi scendere sulla costa a Gioiosa Marea e Barcellona Pozzo di Gotto e risalire di nuovo sulle colline di Montalbano Elicona, Castroreale, Cattafi e Monforte San Giorgio. Non potevano mancare le immagini dell’Etna, “a muntagna”, l gigante buono che terrificante e magnifico domina la Sicilia e i suoi abitanti.

“La buona vita” va alla scoperta di un tessuto sociale sano, ancorato alle antiche tradizioni cui è legato a doppia mandata e che ha però anche l’ispirazione e la forza di guardare avanti con la voglia di riscattarsi da uno stereotipo negativo della Sicilia.

Le storie che saranno raccontate sono semplici percorsi di vita, ma anche fatti curiosi e attuali, ai più forse sconosciuti. Ad accompagnare lo spettatore in questo viaggio ci sarà la musica de i “Malanova”, un gruppo molto particolare di cui il regista Eugenio Manghi si era innamorato. “Un ensemble siciliano – dice il regista – costituito da una decina di polistrumentisti, diretti da Pietro Mendolia e capaci di virtuosismi strumentali e vocali notevoli. Ma non è tutto qui ovviamente”.

Sulle note dei Malanova “la buona vita” racconterà le vite di tante persone che hanno lavorato sempre onestamente nella loro terra o anche come emigrati. La troupe ha incontrato persone semplici e operose: un anziano impagliatore di sedie, un riparatore di antiche radio in pensione, un’anziana tessitrice di antiche pezzare per la festa del Muzzuni ad Alcara Li Fusi, il fabbro artista che si ispira all’iconografia africana, i costumi della tradizionale festa dello Scacciuni, la pasta reale di Tortorici, la suggestione della Katabba, la campana che in un’alba di 1.000 anni a suonò a distesa nel nome di Sant’Agata per radunare gli oppressi di MOnforte San Giorgio e permettergli di liberarsi dalla dominazione araba. Quegli stessi oppressori che, in cambio di un giogo esercitato per secoli, lasciarono in eredità all’Italia e a tutto il Mediterraneo centro-occidentale, una meravigliosa scala musicale e un arricchimento artistico-figurativo di grande rispetto. Dai fregi moreschi, arrivati fino alla Serenissima, alle contaminazioni di interesse gastronomico. Come si dice: non tutti i mali vengono per nuocere. La Katabba è diventata poi, ormai da oltre mille anni, la celebrazione mai interrotta di questa rivolta: tra gennaio e febbraio, ad ogni alba e a ogni tramonto, nell’antichissima torre a pianta quadrata di Monforte San Giorgio, un tamburo duetta suggestivamente con la campana – la Katabba appunto – diffondendo nel buio e nel freddo oltre dieci diversi ritmi originali: mai mutati, mai scritti, mai andati perduti.

“Anche qui, la musica dei Malanova – ispirata allo strano duetto – sembra caricare noi stessi di quell’esaltazione che 1000 anni fa generò il coraggio necessario alla gente per affrontare un nemico secolare e scacciarlo. La Sicilia è una ricchezza inestimabile per il nostro Paese – prosegue il regista del documentario – Cerchiamo di scoprirla non solo nei suoi stupendi paesaggi di mare, nelle sue spiagge, nei meravigliosi cannoli alla ricotta (buonissimi quelli che si fanno nella pasticceria a conduzione familiare che abbiamo visitato a Gioiosa Marea) o nel tonno sott’olio ”più buono del mondo”: quello dei tonnaroti di San Giorgio… Nel nostro piccolo, con il contributo di mia moglie Annalisa Losacco alla macchina da presa e alla regia, di Salvatore Siragusa (pure operatore di ripresa) e di Roberta Fonti (giornalista impegnata nella salvaguardia della cultura locale), entrambi originari dei luoghi toccati dal documentario ed estemporanei ”cercatori di storie”, nel nostro piccolo – dicevo – per la seconda volta ci siamo provati a descrivere quello che solo l’esperienza personale può restituire. Per questo, con tutta la modestia del caso, il nostro lavoro vuole essere un invito a fermarsi, a parlare con la gente, a scavare nella loro anima e nel loro cuore. E a trovarci tutto quello che c’è: bellezza, simpatia, umanità!”

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