Caltanissetta: lotta al caporalato, undici arresti

Un arrestato irreperibile

Se ti ribellavi ai loro metodi come minimo ti malmenavano e arrivavano addirittura ad uccidere, come successo lo scorso giugno. Una banda di pakistani stava davvero seminando il terrore fra i propri connazionali residenti a Caltanissetta e provincia. Sfurtavano la loro manodopera per i lavori nei campi. Oggi l’organizzazione criminale è stata sgominata nell’operazione denominata Attila che ha portato in manette 11 persone (una è irreperibile).

Le accuse sono tante e varie. Dall’associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera per lavoro presso terzi (caporalato), alle estorsioni; dalle rapine al sequestro di persona; dalle lesioni aggravate a minacce, passando per violazione di domicilio, violenza o minaccia per costringere qualcuno a commettere un reato. L’operazione condotta a Caltanissetta è stata denominata Attila e ha portato all’arresto di 11 persone.

Durante le perquisizioni della notte in casa di uno degli arrestati sono stati trovati “due libri mastri” al vaglio degli inquirenti. Fra le pagine erano scritti i nomi dei lavoratori sfruttati e il loro compenso che si aggirava attorno ai 30 euro al giorno.

L’operazione ha tratto origine dalle indagini condotte dalla squadra mobile di Caltanissetta e dell’Arma dei carabinieri nei confronti di un pericoloso gruppo di pakistani da tempo residenti a Caltanissetta. Si tratta di un gruppo ristretto che l’anno scorso aveva commesso una serie di delitti contro la persona e il patrimonio, in larga parte nei confronti di loro connazionali, sia a Caltanissetta che nei centri limitrofi.

Il gruppo di pakistani, agendo con un metodo paramafioso, avevano così assoggettato la comunità di appartenenza, molto ampia a Caltanissetta e composta da persone oneste, sottoponendole ad un regime di vessazione e terrore e sfruttandola professionalmente per assicurare all’associazione continuità nel tempo.

I pakistani sono stati numerosi a richiedere in città l’aiuto delle forze dell’ordine o a denunciare ai carabinieri quanto accadeva loro. Proprio l’analisi dei molteplici episodi denunciati a polizia e carabinieri ha permesso di acclarare l’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere finalizzata ad imporre la propria egemonia sul territorio, acquisita dal protratto periodo di operatività e rafforzata dal costante ricorso a condotte minatorie e violente di elevatissimo allarme sociale.

Individuate dagli investigatori le auto e le utenze in uso agli indagati e tanto i servizi di osservazione quanto lo sviluppo dei tabulati, hanno permesso di riscontrare gli stretti legami, quasi giornalieri, tra tutti gli arrestati.

Il gruppo, molto coeso e capeggiato dal leader Muhammad Shoaib, ha condizionato il settore agricolo dell’entroterra siciliano. L’indagine ha infatti permesso di rilevare che il capo del gruppo insieme a Bilal Ahmed, Ali Imran, Mohsin Ali e Giada Giarratana reclutavano manodopera pakistana con il cosiddetto metodo del caporalato.

I loro connazionali erano destinati al lavoro in aziende agricole in condizioni di sfruttamento. Il compenso era intorno ai 25/30 euro al giorno, ma l’organizzazione criminale si metteva d’accordo con i datori di lavoro e tratteneva per sé una parte o a volte anche tutto il corrispettivo, già molto basso.

Le timide rimostranze dei lavoratori per ottenere il loro compenso venivano represse con spedizioni punitive dei sodali. In questo desolante panorama si inseriscono anche i titolari delle imprese dove i lavoratori pakistani, venivano condotti a lavorare poiché, dal canto loro, trovavano conveniente rivolgersi ai caporali loro connazionali perché ben consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio in relazione alle condizioni di sfruttamento dei lavoratori.

È in questo contesto criminoso che è maturato l’omicidio del pakistano Adnan Siddique, avvenuto il 3 giugno scorso. La sua colpa era stata quella di essersi ribellato denunciando i suoi caporali. Per il suo efferato omicidio erano state arrestate sei persone, tutte coinvolte anche nell’odierna operazione. Si tratta di: Muhammad Shoaib, Muhammad Sharjeel Awan, Shijaat Ali, Bilal Ahmed, Ali Imran, Muhammad Mehdi e Nawaz Muhammad.

Già prima dell’omicidio la banda aveva commesso numerosi episodi di violenza nel territorio nisseno con una escalation davvero impressionante. Un nigeriano è stato aggredito e malmenato a colpi di bastone e spranghe di ferro sol per aver chiesto il compenso per il lavoro svolto da bracciante agricolo, riportando ferite guaribili in 20 giorni.

In un’altra occasione Muhammad Shoaib tentava di estorcere ad un connazionale 300 euro quale ingiusto profitto dell’intermediazione illecita finalizzata al caporalato. Il giorno successivo insisme a Bilal Ahmed, Nawaz Muhammad, Shujaat Ali e Muhammad Mehdi hanno sequestrato l’estorto, lo hanno preso per le caviglie e le spalle e lo hanno posizionato sui sedili posteriori dell’auto di Shoaib portandolo nell’abitazione di Ali Imran, detto Cheema Muhammad Imran e di Giada Giarratana. Qui è stato costretto a stare in terra e una volta accerchiato,con un coltello puntato alla gola, è stato trattenuto per tre ore. Gli è stato intimato di chiamare il padre in Pakistan per farsi mandare 5.000 euro a titolo di riscatto.

Le indagini hanno fatto luce anche su molti episodi di inaudita violenza. Fra tutti l’aggressione di una nigeriana mentre stringeva tra le braccia il figlio di appena un anno, solo per rapinarla di 200 euro. Non sono mancate altre minacce, botte e sequestri di persona a sfondo estorsivo.

A dicembre del 2019, inoltre, alcuni componenti della banda finita in manette avevano fatto irruzione nella comunità I girasoli onlus di Milena, malmenando due minorenni ospiti della struttura, rei di aver avuto un banale diverbio con un loro coetaneo che aveva però invocato l’intervento di Shoaib e della sua banda.

Questa notte sono finiti in carcere: Muhammad Shoaib, 27 anni, nullafacente, attualmente detenuto per l’omicidio del suo connazionale; Muhammad Sharjeel, 20 anni, anche lui nullafacente e regolare sul territorio italiano; Shujaat Ali, 32 anni, pakistano, detenuto per altra causa; Muhammad Mehdi, 48enne del Pakistan, attualmente in carcere per altra causa; Nawaz Muhammad, 32 anni, pakistano, anche lui in carcere per altra causa; Ali Imran, 28 anni, pakistano con precedenti di polizia, attualmente detenuto per altra causa; Bilal Ahmed, 23 anni, pakistano, nullafacente; Mohsin Ali, 32 anni, pakistano, pregiudicato, bracciante agricolo; Shedaz Khuram, 33 anni, pakistano co nprecedneti e nullafacente; Arshad Muhammad, 37 anni, pakistano, pregiudicato, nullafacente e attualmente in carcere per altra causa.

Arresti domiciliari per la giovane incensurata casalinga Giada Giarratana, 21 anni.

Si è reso invece irreperibile un pakistano destinatario della misura della custodia cautelare in carcere.

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