Noto (Sr): il museo diocesano apre le porte ad un’esposizione di Giovanni Viola

Il museo diocesano di Noto apre i propri spazi ad un evento espositivo che sembra voler dialogare in stretta intimità col periodo liturgico nel quale si colloca – la festività della Santa Pasqua – facendosene interprete e traduttore di senso. La potenza evocativa delle immagini che animano questa mostra, legata ad opere d’arte sia antica che contemporanea, scaturisce da una sapienza che nel passato ha guidato mani esperte di artisti, capaci di plasmare opere da offrire agli occhi e al cuore di un popolo credente affinché, attraverso una venerazione sincera, potesse levare al cielo la propria preghiera.

Quella stessa sapienza continua oggi a guidare la mano di un artista come Giovanni Viola, il quale attraverso le proprie opere, fissa al cielo il proprio sguardo, quasi a voler recuperare quella stessa antica preghiera, per offrirla all’uomo di oggi, spesso lontano dai luoghi dell’anima. E sono proprio questi luoghi dell’anima che l’antico e il contemporaneo presenti in questa mostra, invitano a frequentare, territori abitati in fondo dagli uomini di tutti i tempi proprio perché è l’anima a venire toccata quando il dolore e la sofferenza sconvolgono la vita ma anche quando la speranza invita a celebrare una rinascita capace di restituire senso oltre l’esito estremo del dolore stesso. L’immagine del Cristo sofferente e martoriato, discreta e silenziosa presenza nella penombra degli altari delle nostre chiese, immagine della quotidianità nelle oleografie appese alle pareti di casa delle nostre nonne, popola da secoli la figurazione occidentale, ricordando all’uomo della storia che quel dolore non riguarda solo la vicenda dell’uomo ma tocca il cuore stesso di Dio.

L’arte con fatica ha assunto questa verità scandalosa. Le prime raffigurazioni della Crocifissione – si consideri l’affresco custodito in Santa Maria Antiqua a Roma – ci mostrano un Cristo trionfante, non

scalfito dalla sofferenza, nonostante la tragicità della morte ignominiosa che subisce. Raffigurazioni come questa solo lentamente lasceranno spazio alla rappresentazione di un Cristo davvero sofferente, capace di assumere in se tutta la tragicità di quel dolore umano che deforma e sfigura tutto il corpo, proprio come succede nella celebre Crocifissione dipinta nel XVI secolo da Mathias Grünewald.

Lo scandalo dell’uomo dinnanzi al male nasce dalla domanda rivolta a Dio da Giobbe, il quale chiede conto del dolore subito. I crocifissi anatomici presenti in mostra traducono questa stessa domanda dell’uomo della storia che a Colui che è appeso sul legno della croce grida: “tu chi sei?”. È una domanda che rimane sospesa e irrisolta dinnanzi allo scandalo di un corpo denudato e ridotto a cosa, ad insieme di organi sviscerati nella loro perfetta anatomia dall’occhio indagatore dell’uomo; ma è una domanda che si apre al Mistero quando quello stesso sguardo diviene capace di abbracciare la totalità di quell’immagine, cogliendo nella sua armonica tensione verso l’alto quella divina bellezza che così diviene tremenda e fascinosa.

Se poi ci si sofferma a contemplare i particolari di quel volto intagliato nel legno o scolpito nell’alabastro rosa di Trapani, ecco elevarsi dalla profondità e dal contegno di quei tratti, il senso stesso della divinità di quell’uomo che, in quanto Dio, vince la morte e su di essa si erge vittorioso come vediamo nel dipinto seicentesco presente in mostra: qui il dolore è richiamato solo dalla presenza della croce, strumento di tortura che ora è sostenuto dal Cristo trionfante, il cui corpo, restituito alla sua armonia e bellezza, è divenuto il luogo della vittoria della Vita sulla morte.

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