Messina: fatture false, arresti e sequestro da mezzo milione di euro

Tre persone arrestate, interdizione dell’attività di impresa per un anno per 8 persone e denaro sequestrato per circa mezzo milione di euro. Sono questi i numeri di un’operazione condotta a Messina dagli agenti della guardia di finanza del comando provinciale. Ai domiciliari sono finite tre persoe ed è stata notificata l’interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa per un anno per altre otto persone.

Il provvedimento, sulla base di imputazioni provvisorie e che dovranno trovare conferma in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, è stato emesso dal Gip del tribunale di Patti, Eugenio Aliquò. Le indagini condotte hanno permesso di svelare un sofisticato sistema di frode attraverso cui gli indagati avrebbero percepito indebitamente fondi pubblici, per un importo di oltre un milione di euro.

Le indagini, delegate dalla procura di Patti nella persona del procuratore capo Angelo Cavallo e del sostituto procuratore Alessandro Lia, hanno permesso di individuare nei pattesi S.P.G., 50 anni e L.C., 41 anni e nel giocosao I.G.R., 30 anni, tutti destinatari degli arresti domiciliari, i membri del direttorio di un complesso gruppo criminale, per gli ultimi due in posizione subordinata, ma ai vertici di una strutturata associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, fino alla frode fiscale.

Gli indagati, sfruttando anche rapporti parentali ed amicali, sotto la direzione si S.P.G., 50 anni, gravato da molteplici precedenti per reati contro il patrimonio e attualmente in carcere, avevano costituito ben 10 società, di cui due amministrate di diritto dai nominati L.C. e I.G.R. e le rimanenti 8 da terzi soggetti, oggi tutti destinatari del provvedimento di interdizione.

Le attività erano interconnesse, non solo per via dei rapporti interpersonali esistenti, ma soprattutto per la ritenuta fittizi età di numerosi rapporti economici intercorsi tra le stesse, formalmente attive in eterogenei settori d’impresa, dal commercio all’ingrosso di altri prodotti alimentari, all’attività di stampa, al commercio di macchine e attrezzature, alla costruzione di edifici e sino all’attività di catering e ristorazione, il tutto finalizzato all’ottenimento di ingiusti profitti. Gli introiti illeciti venivano ottenuti non solo attraverso la produzione e l’utilizzo indiscriminato di false fatture per documentare il sostenimento di spese relative a 4 progetti d’investimento, assistiti dal fondo centrale di garanzia della banca del Mezzogiorno Mediocredito centrale, ma anche per non aver onorato, successivamente all’avvenuta erogazione, i connessi impegni assunti con il contratto di finanziamento.

In particolare, le indagini hanno evidenziato, a valle di complessi accertamenti contabili e riscontri sul campo, come i rapporti economici attenzionati risultavano connotati da evidenti profili di anomalia quali: opere edilizie mai realizzate, falsi preventivi di spesa, macchinari mai acquistati, il tutto artatamente costruito per indurre in errore gli istituti di credito eroganti. Solo sulla carta i 4 progetti di investimento, per un importo totae pari ad oltre un milione di euro, avrebbero dovuto essere destinati alla realizzazione di pasta bio di elevata qualità, prevedento anche la ristrutturazione, poi rivelatasi fantasma, di un opificio industriale ubicato in provincia di Enna, addirittura prevedendo la digitalizzazione dell’azienda e millantando l’introduzione di sofisticati e moderni macchinari mai acquistati dalla capofile. In sede di ispezione nello stabilimento della pasta biologica non è stata trovata alcuna produzione di pasta, rilevando di contro un’imponente presenza di ratti, segno tangibile di un edificio in stato di abbandono.

Le indagini, inoltre, hanno permesso di appurare che da un lato mancava qualsiasi profilo imprenditoriale da parte degli amministratori di diritto, alcuni gravati anche da precedenti penali e di polizia. Dall’altro, l’inesistenza delle sedi delle società emittenti/riceventi la documentazione commerciale, in quanto sprovviste di reale struttura logistica/aziendale, talune totalmente prive di dipendenti, a fronte di significativi fatturati, o in molti casi rivelatesi mere domiciliazioni riportanti solo il nome della società, senza il conto aziendale, così riconducendo la direzione delle stesse a classiche “teste di legno”, prestanomi che, allettati dai facili guadagni e dalla promessa di immediati vantaggi, tra cui auto e denaro, si rendevano disponibili ad assecondare l’organizzazione.

Un giro vorticoso e milionario di documenti falsi per 21 milioni di euro tra fatture false emesse e ricevute e che solo una meticolosa analisi della documentazione contabile delle società coinvolte ha permesso di ricostruire nel dettaglio.

Le fiamme gialle di Patti, nel dettaglio, avevano anche eseguito delle mirate ispezioni fiscali che, oltre a portare alla tassazione dei proventi illeciti quantificati in oltre 1 milione di euro, hanno permesso di segnalare all’agenzia delle entrate e alla procura una evasione fiscale di Iva e Irap per oltre 4 milioni di euro.

I destinatari degli odierni provvedimenti, tramite le società coinvolte, si sono resi anche responsabili di più ipotesi di commissione di svariati illeciti penal-tributari, dall’occultamento e/o distruzione di scritture contabili all’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi.

Il Gip del tribunale di Patti, sulla scorta del convergente e grave quadro indiziario documentato dalle indagini dei finanzieri e sostenuto dalla procura di Patti, si determinava a disporre le misure restrittive odierne, tenuto anche conto della personalità degli indagati, indicativa di “uno stile di vita proteso al conseguimento di ingenti facili guadagni” e di una propensione degli stessi a distogliere dalle sue finalità la lecita attività d’impresa, di contro “elevata a vero e proprio sistema criminale” programmato in modo accurato ed attuato con impressionante continuità.

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