Messina: mafia, estorsioni e droga, 33 arresti

Sono trentatre le misure cautelari eseguite a Messina dai carabinieri impegnati in una vasta operazione in materia di mafia, estorsioni e droga. Nell’ambito dell’operazione sono stati sequestrati dei beni. Gli arrestati invece devono rispondere di associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, sequestro di persona, scambio elettorale politico-mafioso, lesioni aggravate, detenzione e porto illegale di armi, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di droga, con l’aggravante del metodo mafioso.

Dei 33 indagati, 21 sono finiti in carcere, 10 ai domiciliari e 2 all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nonché il sequestro di due imprese, operanti nel settore del gioco e delle scommesse e della ristorazione.

L’operazione, convenzionalmente denominata Provinciale, rappresenta la sintesi di distinte attività di indagine svolte dal nucleo investigativo del comando provinciale carabinieri di Messina, del Gico del comando provinciale della guardia di finanza di Messina e della squadra mobile della questura di Messina e coordinate dalla Dda di Messina che hanno consentito di documentare l’attuale operatività di un’associazione per delinquere di stampo mafioso attivo nella zona di provinciale e facente capo a Giovanni Lo Duca e Salvatore Sparacio, entrambi soggetti di elevatissimo spessore criminale che gestiscono svariate attività illecite, operando un capillare controllo del territorio con modalità tipicamente mafiose.

Nel frattempo si è delineata l’esistenza di un altro sodalizio facente capo a Giovanni De Luca operante nella zona di Maregrosso che si muoverebbe in piena sinergia criminale con il sodalizio di Giovanni Lo Duca. I gruppi presentano strettissimi profili di collegamento, adottano strategie criminali condivise e operano in piena sinergia per il raggiungimento del controllo del territorio delle rispettive zone di appartenenza, ricadenti nei quartieri di Provinciale e Maregrosso.

Le indagini, avviate dopo la scarcerazione di Giovanni Lo Duca, tornato in libertà dopo 13 anni di reclusione, trascorsi anche in regime carcerario duro, hanno documentato che questi aveva riassunto le redini dell’organizzazione, proponendosi quale riconosciuto punto di riferimento criminale sul territorio, capace di intervenire autorevolmente nella risoluzione di controversie fra esponenti della locale criminalità.

Dopo quasi due anni di intercettazioni e servizi di osservazione, i carabinieri del nucleo investigativo hanno documentato come il sodalizio capeggiato da Giovanni Lo Duca operava facendo ricorso all’intimidazione e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, per affermare la propria egemonia sul territorio e controllare le attività economiche della zona nonché per recuperare i crediti derivanti sia dal traffico di droga che dalla gestione delle scommesse su competizioni sportive.

La base operativa del clan era il bar Pino gestito da Anna Lo Duca, sorella di Giovanni che trascorreva le sue giornali nell’esercizio commerciale dove incontrava gli associati per pianificare le varie attività criminose della consorteria e dove veniva eseguita l’attività di raccolta di scommesse sportive in assenza di licenza e per conto di un allibratore straniero privo di concessione. L’esercizio commerciale è stato sequestrato dai carabinieri.

Le indagini hanno comprovato come il clan mafioso esercitava un controllo capillare del territorio, tanto che qualsiasi iniziativa assunta nel rione era assoggettata al preventivo “placet” di Lo Duca che si proponeva quale soggetto in grado di sostituirsi allo Stato nella gestione delle “vertenze” sul territorio. Gli elementi raccolti nel corso delle indagini hanno consentito di contestare il delitto di associazione mafiosa a 9 persone tra le quali Francesco Puleo e Vincenzo Gangemi, uomini di fiducia di Lo Duca e dediti al recupero dei crediti con modalità estorsive per conto del gruppo.

Tra gli arrestati ci sono anche due donne: Maria Puleo e Anna Lo Duca, entrambe organiche all’associazione mafiosa, per avere provveduto al sostentamento degli affiliati detenuti e, la seconda, per aver messo al servizio del sodalizio mafioso, il bar a lei intestato, ove avveniva l’attività di illecita raccolta delle scommesse online su eventi sportivi.

Numerosi gli episodi di violenza emersi nel corso delle indagini, strumentali all’affermazione del controllo sul territorio e alla risoluzione delle controversie con l’imposizione della volontà del clan mafioso. Tra le condotte contestate, significativa è stata una spedizione punitiva nei confronti di Giuseppe Selvaggio, finalizzata a vendicare uno sgarbo che questi aveva effettuato nei confronti di Giovanni Lo Duca. L’uomo venne malmenato davanti alla moglie e alla figlia adolescente, riportando varie fratture e lesioni procurategli con un tirapugni in metallo e sotto la minaccia di una pistola.

Il gruppo mafioso capeggiata da Lo Duca gestiiva un florido traffico di sostanze stupefacenti distribuite nelle piazze di spaccio dei quartieri di Provinciale, Fondo fucile e Mangialupi.

La droga veniva sistematicamente approvvigionata in provincia di Reggio Calabria e nella gestione dell’attività illecita. Lo Duca operava insieme a Giovanni De Luca, esponente mafioso della zona di Maregrosso. Sulla base delle risultanze investigative acquisite e dei riscontri effettuati è stato contestato il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti a 12 persone: organizzatori dell’attività illecita sono riusciti essere Giovanni Lo Duca che finanziava gli acquisti e Giovanni De Luca, mentre Francesco Puleo ed Ernesto Paone erano incaricati di procurare la droga e organizzare i trasporti con la collaborazione di Giuseppe Marra e Mahamed Naji, mentre Emanuele Laganà era il referente della sponda calabrese per il procacciamento della sostanza.

Incaricati allo spaccio erano invece Tyron De Francesco, Vincenzo Gangemi, Domenico Romano, Giuseppe Surace e Mario Orlando. Il giudice per le indagini preliminari ha ricondotto al gruppo facente capo a Giovanni Lo Duca anche Salvatore Sparacio, 46 anni, nipote dello storico boss Luigi, poi divenuto collaboratore di giustizia.

A questo proposito, attraverso le indagini, le fiamme gialle hanno accertato come il centro nevralgico dei contatti tra Sparacio e Lo Duca risultasse la sede della sala giochi Asd Biliardi Sud nella zona sud di Messina, soo formalmente intestata a Letterio Cuscinà, 44 anni e Mario Alibrandi, ma di fatto riferibile allo Sparacio, oggi sottoposta a provvedimento cautelare reale.

Del resto, il ricorso a schermature societarie costituiva una costante di tutta l’indagine, emergendo come sempre riferibili allo Sparacio risultassero anche un’ulteriore sala biliardi, sita in pieno centro di Messina, intestata ad Antonio Scavuzzo, 37 anni, nonché un pub, anch’esso nel centro di Messina e solo formalmente intestato all’arrestato Carlo Cafarella, 40 anni.

La rilevanza per il gruppo criminale investigato della sala giochi ASD Biliardi sud ha trovato significativa conferma lo scorso 11 aprile quando durante i funerali di Rosario Sparacio, fratello dell’ex boss pentito Luigi e padre dell’odierno indagato Salvatore, quando il corteo funebre si fermava proprio davanti alla sala biliardi, in violazione e disprezzo delle normative e disposizioni vigenti nella fase del primo lockdown.

All’interno del locale si tenevano veri e propri summit mafiosi e si praticava il gioco d’azzardo, attraverso personal computer collegati alla rete internet con piattaforme di scommesse online aventi sede all’estero che permettevano di accedere a giochi illeciti offerti al di fuori del circuito autorizzato dai Monopoli di Stato nonché come, attraverso la forza intimidatoria promanante dall’associazione mafiosa, venisse imposto l’utilizzo delle medesime piattaforme software e delle stesse video slot ai vari gestori locali.

Sparacio poteva vantare consolidati rapporti con dirigenti maltesi di notissimi brand di settore, tanto da spuntare provvigioni del ben 40% sugli incassi delle scommesse. Proprio questa altissima rimuneratività costituiva la ragione per cui Giovanni Lo Duca e altri, come il gruppo Santapaola, avevano individuato in Sparacio la testa di ponte per accedere a questo settore. Basti dire, a titolo esemplificativo, come noti marchi di scommesse abbiano avuto accesso al territorio messinese proprio perché introdotti da Sparacio.

Le indagini hanno permesso di accertare il ruolo ricoperto da Salvatore Sparacio nell’ambito delle elezioni comunali del 10 giugno 2018, laddove risultava il punto di riferimento di un personaggio politico locale, Natalino Summa, 52 anni, oggi finito ai domiciliari. Emblematico è stato l’episodio messo in luce dai finanzieri messinesi grazie alle indagini tecniche che hanno permesso di captare alcune in equivoche conversazioni, inerenti la prova dell’offerta di denaro, per una somma pari a 10 mila euro, effettuata al boss dal candidato politico, affinché procurasse un congruo numero di voti per la propria scalata elettorale.

Questa attività di procacciamento vedeva in Francesco Sollima il tratto di congiunzione tra il politico Natalino Summa e il boss Salvatore Sparacio che l’aspirante consigliere comunale incontrava con il padre Antonino Summa. I riscontri eseguiti hanno permesso di documentare come l’accordo illecito raggiunto avesse permesso di raccogliere, nei quartieri di operatività del gruppo mafioso ed altri a questo collegati, ben 350 voti.

Infine, dagli sviluppi delle indagini della squadra mobile di Messina a seguito dell’operazione denominata Flower e alla successiva cattura del latitante Giovanni De Luca è stata ricostruita l’operatività di altra associazione per delinquere di stampo mafioso facente capo a De Luca e operativa nella zona di Maregrosso, nonché individuata la rete dei soggetti che ne hanno favorito la latitanza.

A tal proposito, il 5 novembre del 2019, gli agenti della squadra mobile di Messina hanno dato esecuzione all’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere a carico di 10 soggetti appartenenti ad una pericolosissima ed armata cellula criminale locale, ritenuti responsabili, a vario titolo, di estorsioni aggravate dal metodo mafioso ai danni di titolari di locali notturni e rapine in pregiudizio di vari negozi della città. Al termine delle complesse indagini è stato possibile appurare che il gruppo criminale, nell’ambito della gestione dei servizi di sicurezza presso diversi locali di ritrovo in cui si concentra la movida messinese, era riuscto ad imporre la corresponsione di somme di denaro per l’assunzione  di personale addetto alla vigilanza tentando addirittura, in alcuni casi, di estromettere la concorrenza e gestire in totale autonomia il redditizio settore dei presidi di sicurezza presso lidi, discoteche, locali notturni ed altro.

Il provvedimento cautelare restrittivo di oggi era stato eseguito a suo tempo anche nei confronti di 10 persone. rimaneva ricercato Giovanni De Luca che si era sottratto alla cattura. A distanza di qualche giorno dai fatti, il 9 novembre del 2019, un’altra misura cautelare, del massmo rigore, veniva eseguita nei confronti di Schepis ed Eposito per rapina a mano armata, ricettazone di veicolo e furto con strappo, in qualche modo riferibili alla cellula criminale di cui facevano parte e cui si è sopra accennato.

In seguito, attraverso mirata attività di indagine, sempre coordinata dalla direzione distrettuale antimafia messinese, supportata da operazioni di captazione, analisi di tabulati ed azioni dinamiche sul territorio, personale della squadra mobile riusciva a rintracciare De Luce che aveva trovato rifugio in un’abitazione riferibile ad Elena Micalizzi. Il latitante, già dichiarato tale con provvedimento del gip di Messina, si era nascosto all’interno di una intercapedine appositamente ricavata nel muro in cartongesso dell’area bar del soggiorno della casa della menzionata Micalizzi. L’intercapedine era abilmente dissimulata tra le decorazioni della parete che presentava un’apertura montata su un sistema di chiusura basculante ricavato tra il tetto e il vano scala. De Luca veniva arrestato e poi associato al carcere di Messina-Gazzi. Micalizzi era stata arrestata in flagranza di reato di favoreggiamento aggravato dall’aver agevolato l’associazione mafiosa, con particolare riferimento al latitante già menzionate.

La nuova misura cautelare riguarda sette individui e coinvolge lo stesso Giovanni De Luca e altri soggetti a lui più vicini in relazione a condotte di diretta appartenenza all’associazione mafiosa attiva nel rione cittadino di Maregrosso e all’agevolazione della latitanza di De Luca cui è stata riconosciuta una posizione di vertice del gruppo criminale mafioso a lui riconducibile.

A carico di De Luca, oltre alla direazione del gruppo di Maregrosso, si rilevano responsabilità anche in ordine al suo coinvolgimento in una estorsione nonché in fattispecie delittuose, attuate in forma associata in materia di stupefacenti. La diretta appartenenza alla cellula criminale mafiosa capeggiata da De Luca e poi contestata a Domenico Mazzitello, a Kevin Schepis e a Giuseppe Esposito. Il primo per essersi occupato, in

prima persona, dell’attività estorsiva ai danni dei gestori dei locali notturni di Messina; il secnodo per aver aggredito gli ignari clienti dei locali notturni per coartare la volontà degli esercenti e piagarla alle richieste estorsive del sodalizio  criminale di riferimento e per aver partecipato al compimento di reati contro il patrimonio allo scopo di reperire risorse economiche in favore del gruppo criminale di appartenenza; il terzo per aver coadiuvato lo Schepis nelle aggressioni attuate ai danni dei clienti dei locali notturni e per aver partecipato alle azioni delittuose contro il patrimonio per reperire danaro in favore del già indicato sodalizio malavitoso di appartenenza. Gabriella De Luca, sorella di Giovanni de Luca; Serena Ieni e Antonino Soffli, sono chiamati a rispondere di procurata inosservanza di pena attuata per consentire che si perpetuasse la latitanza di Giovanni De Luca e fornendo a quest’ultimo un supporto logistico ed assistenza materiale ed economica.

Una condotta, questa, finalizzata ad evitare la cattura di De Luca, aggravata dall’agevolazione dell’associazione mafiosa operante nel rione Maregrosso e riconducibile al latitante, poi catturato dalla squadra mobile. I due da ultimo citati devono rispondere anche di favoreggiamento aggravato dall’agevolazione dell’organizzazione mafiosa per averne supportato il suo elemento di vertice, Giovanni De Luca, ad eludere le investigazioni effettuate per la cattura.

In manette sono finiti: Giovanni Lo Duca, 49 anni; Emmanuele Balsamo, 39 anni; Ugo Ciampi, 40 anni; Tyron De Francesco, 24 anni; Vincenzo Gangemi, 46 anni; Anna Lo Duca, 47 anni Francesco Puleo, 52 anni; Maria Puleo, 41 anni; Giovanni Tortorella, 51 anni; Domenico Romano, 38 anni; Ernesto Paone, 25 anni; Giuseppe Marra, 32 anni, Mahammed Naji, 22 anni; Emanuele Laganà, 40 anni; Mario Orlando, 40 anni; Giuseppe Surace, 35 anni; Giovanni De Luca, 32 anni; Domenico Mazzitello, 27 anni; Giuseppe Esposito, 28 anni; Kevin Schepis, 22 anni; Gaetano Vinci, 50 anni, destinatario dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria così come Antonina Cariolo, 50 anni.

Gli arresti domiciliari, invece, sono stati disposti per: Salvatore Sparacio, 46 anni; Mario Alibrandi, 47 anni; Carlo Cafarella, 40 anni; Letterio Cuscinà, 40 anni; Antonio Scavuzzo, 47 anni; Antonino Summa, 79 anni; Natalino Summa, 51 anni; Gabriella De Luca, 23 anni; Serena Ieni, 32 anni; Antonino Soffli, 43 anni e Francesco Sollima, 51 anni.

 

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