Tortorici (Me): San Sebastiano tra devozione e tradizione

Sono state tante le foto inviateci della festa di San Sebastiano a Tortorici e tutte bellissime. Per questo vi ringraziamo. Ne abbiamo scelta una  per la copertina di Donatella Lupica che rappresenta tutti insieme la devozione, la fatica, l’amore che il paese tutto nutre nei confronti del suo patrono e che ha immortalato uno dei momenti più peculiari e magici della processione. Tutte le altre foto, egualmente belle e significative, le le potrete trovare all’interno dell’articolo.

Mani giunte in preghiera, piedi scalzi, il campanone del duomo che rintocca festante, voci che urlano “grazi, San Bastianu gra’” (grazie, San Sebastiano, grazie) e poi antichi riti che si ripetono nel corso dei secoli per ricordare momenti della vita del Santo patrono di Tortorici (Messina) o che affondano le radici in antichi riti propiziatori. È questo e molto altro ancora la festa di San Sebastiano a Tortorici.

Un culto, quello del bimartire soldato romano, fortemente radicato nella cittadina nebroidea già dal 1600. Ma San Sebastiano non è sempre stato il patrono del paese. Prima di lui c’era San Cataldo vescovo, soppiantato e poi dimenticato.  

Sono trascorsi più di 400 anni dalla prima festa in onore di San Sebastiano, patrono di Tortorici, è scorsa tanta acqua nei fiumi del paese, si sono succedute amministrazioni, sono cambiate le epoche storiche, sono mutati i modi di vestire, di parlare, di relazionarsi con gli altri, ma non è cambiato l’amore degli oricensi verso il loro patrono e i riti che continuano a perpetrarsi nel tempo, quasi non ne subissero il trascorrere.

Quella di Tortorici, fra tutte le feste dedicate a San Sebastiano, è la più lunga ed articolata e si studia anche nei volumi di “Storia delle tradizioni popolari” alle università ed è citata in diversi libri fra cui anche quelli del Buttitta.

La campana di San Sebastiano-foto di Donatella Lupica

Si inizia a respirare aria di festa e il pensiero viene rivoto a San Sebastiano già dal primo gennaio di ogni anno quando dei giovani volenterosi salgono sul campanile e fanno risuonare il pesante campanone che prende il nome proprio del patrono. Un suono inconfondibile che rimane impresso nel cuore di tutti e che si ode risuonare per la vallata durante tutto il mese di gennaio e poi ancora alla festa di maggio e ogni lunedì di Pasqua.

A BULA

La prima manifestazione in onore di San Sebastiano è la fiaccolata detta A’bula, il sabato più vicino al 13 gennaio. Nel pomeriggio i componenti della commissione di San Sebastiano aiutati negli ultimi anni anche dai giovani dell’associazione “I nudi” distribuiscono i mazzetti di “ddisi”, le inflorescenze dell’ampelodesmo, perché vengano accese dagli astanti. La fiaccolata ricorda un episodio della vita di San Sebastiano che venne legato ad un albero di alloro in una zona del colle Palatino e martirizzato per la prima volta su ordine di Diocleziano. Fu creduto morto e lasciato lì in pasto agli animali selvatici. Ma Sebastiano era un giovane aitante e forte e fu poi salvato nella notte da Irene, moglie di Castulo, che lo trasportò nella sua casa e lo curò dalle lesioni. La fiaccolata ricorda proprio quella notte quando Sebastiano venne salvato dalla matrona romana Irene.

A bula, foto di Teresa Calanni

La lunga fiaccolata, preceduta dal suono del tamburo, si snoda per le vie del centro storico e si conclude in piazza Duomo, di fronte alla chiesa di Santa Maria. Qui i devoti buttano al centro della piazza quel che rimane della loro “bula” e i componenti della commissione alimentano il fuoco le cui fiamme si alzano sempre più alte. La gente è assiepata sulle scalinate della chiesa di San Francesco e su quelle che conducono al campanile e poi nella piazza creano un cerchio per assistere ad uno spettacolo che di religioso ha ben poco. Si pensa sia un retaggio di antichi riti propiziatori per il raccolto.

U DDAURU

La domenica successiva alla fiaccolata della “bula” si svolge la processione dell’alloro.

Alloro, foto di Leandro Dottore

Al termine della messa delle 11.00 nella centrale chiesa di San Nicolò, viene portato in processione il simulacro di Sant’Antonio Abate che nel suo breve percorso attraversa questa piccola foresta di alberi appoggiati alle pareti delle case. Sant’Antonio Abate benedice la terra e gli animali, esorcizzando i mali. Al suo rientro in chiesa, al suono di zampogne, fisarmoniche e tamburi, inizia la sfilata con veri e propri alberi di alloro o agrifoglio, alcuni davvero imponenti, decorati da fiocchi rossi e a volte anche dalle immaginette che ritraggono il simulacro di San Sebastiano. La sfilata dell’alloro si fa divisi solitamente per borgate. Ogni anno gli alberi sono sempre sui 300 e al termine della sfilata vengono benedetti uno per uno sul sagrato della chiesa madre dal sacerdote e poi saranno posizionati per abbellire i cancelli delle chiese principali e spesso anche le strade principali. Un tempo, invece, gli alberi di alloro svettavano nei balconi delle case dove venivano portati in regalo come segno di rispetto ad amici, parenti e personalità del paese.

San Sebastiano, u ddauru, foto di Roberta Bivacqua

A FUJITINA DA VARA E A PROVA

La festa di San Sebastiano comincia ad entrare nel vivo giorno 18 gennaio. Nel pomeriggio, alla chetichella, alcuni fedeli, i nudi, vestiti normalmente, al buio, vanno a prendere la pesante vara custodita durante tutto l’anno nella chiesa di San Francesco, per portarla nella chiesa di San Salvatore in quella che si chiama fujitina da vara. È un vero e proprio “furto” per ricordare proprio un furto perpetrato ai danni della festa di San Sebastiano da imprecisati abitanti di paesi viciniori, gelosi dei festeggiamenti oricensi.

In serata, poi, dopo che la vara sarà stata riposta nella chiesa di San Salvatore da cui sarà ripresa il giorno successivo, nella chiesa di Santa Maria si svolge la celebrazione detta “a prova”. Un tempo era in questo giorno che per la prima volta, dopo la festa di maggio, il simulacro di San Sebastiano veniva mostrato al pubblico. Da una decina di anni circa, invece, la statua del Santo si può vedere ogni giorno perché al posto della pesante e riccamente decorata porta lignea con sfondo verde e raffigurante la statua di San Sebastiano, è stata posta una vetrata con una cornice decorata.

San Sebastiano, foto di Teresa Calanni
San Sebastiano dal basso, foto di Teresa Calanni
San Sebastiano, foto di Carmen Lupica
San Sebastiano nella chiesa madre, foto di Melina Timpanaro
San Sebastiano con il suo “oro”, primo piano, foto di Rossana Iapichino

Un tempo la chiesa di Santa Maria era vestita a festa con lunghi drappi colorati che pendevano dall’alto soffitto e addobbavano le navate. All’altare maggiore, invece, veniva montata una scalinata in legno riccamente decorata e ornata con candele alla cui sommità veniva fatto salire il simulacro del Santo con un sistema di carrucole che veniva appunto “provato” la sera del 18 gennaio e poi un angioletto arrivava sempre con il sistema di carrucole, per mettere una corona d’alloro sul capo del Santo. Una scena magica per chi se la ricorda mentre i più giovani possono soltanto cercare di immaginare qualcosa anche attraverso qualche antico scatto.

Durante la messa della “prova” vengono benedetti i Panitti di san Sebastiano, piccoli pani fatti in casa con frumento bianco e distribuiti ai fedeli in Chiesa e anche nelle case e nelle borgate a cura della commissione di San Sebastiano. I panetti una volta venivano preparati da una signora per “voto” al Santo Patrono, oggi vengono realizzati dai forni locali. Il pane ricorda il cibo che Sebastiano portava ai carcerati.

San Sebastiano, i panitti, foto di Maria Teresa Anastasi

PROCESSIONE DELLE RELIQUIE E VESPRO SOLENNE

Processione delle reliquie in chiesa, foto di Maria Teresa Anastasi

Il 19 gennaio le reliquie di San Sebastiano vengono portate in processione da Santa Maria fino alla centrale chiesa di San Salvatore. Qui viene recuperata la pesante “vara” e insieme si fa ritorno alla chiesa madre dove viene poi celebrato il vespro solenne. Sulle note dell’inno di San Sebastiano, che si ode soltanto nel centro nebroideo, la statua del Santo e le reliquie fanno un giro della chiesa e poi inizia la celebrazione liturgica.

20 GENNAIO

San Sebastiano, 18 gennaio, padre Simone Campana inserisce le frecce d’oro nel simulacro, foto di Donatella Lupica

E finalmente arriva il giorno tanto atteso dagli oricensi: il 20 gennaio, giorno in cui la chiesa tutta ricorda il bimartire Sebastiano. Tutti i fedeli che hanno fatto un “voto” al Santo si vestono di bianco. Le donne con i piedi coperti da calze bianche e con un velo in testa e gli uomini a piedi nudi e un fazzoletto legato in vita che scende a pizzo sul davanti. Incuranti del freddo, della pioggia e talvolta anche della neve, i “nudi”, si chiamano così i fedeli vestiti di bianco a Tortorici, partecipano alle celebrazioni liturgiche che si susseguono ogni ora a partire dalle 08.00.

Mentre continuano le celebrazioni religiose e i fedeli entrano ed escono dalla chiesa di Santa Maria Assunta, al comune si prepara la sfilata del “senato”. Si prosegue così una secolare tradizione a cui oggi parteciparono i Giurati nel ‘600, i Senatori nel ‘700 e dall’’800 in poi i sindaci preceduti da due mazzieri con abiti antichi e le due mazze in metallo e da bambini che su un cuscino portano orgogliosamente la chiave della città. Una chiave che verrà poi consegnata simbolicamente a San Sebastiano nelle mani del sacerdote che ogni anno accoglie il Senato davanti al sagrato della chiesa madre.

San Sebastiano all’uscita dalla chiesa madre, foto Nuccio Miraglia

Al termine della messa cantata delle 11.00, spesso anche officiata dal vescovo di Patti, inizia la processione di San Sebastiano che arriva fino al fiume Calagni.

San Sebastiano al fiume, foto di Sebastiano Bellomo
San Sebastiano al fiume, foto di Sebastiano Bellomo

Qui alcuni devoti passano a piedi scalzi nell’acqua e fanno una sosta. Ad attendere la vara ci sono numerosi cittadini, i nudi e i sacerdoti che recitano il Te Deum invocando la grazia. Un rito, questo, che ricorda il miracolo della campana quando proprio durante una processione, dopo il diluvio del 1682, una maniglia della pesante vara di San Sebastiano si inclinò tanto fino a rimanere incagliata nella campana andata perduta durante l’alluvione. Ma è un luogo che ricorda anche un’antica tradizione narrata dallo storico Sebastiano Franchina nei suoi libri su Tortorici secondo la quale le reliquie di Tortorici arrivarono nel centro nebroideo per mano di due ladri che le avevano trafugate ma, una volta giunti al fiume Calagni, non riuscirono più ad andare avanti o indietro. Quando confessarono di avere con sé le reliquie del Santo e dopo averle consegnate al sacerdote accorso sul luogo, poterono riprendere il cammino e le reliquie restarono a Tortorici. Sono tutte storie che ammantano di mistero la bellissima e partecipata festa di San Sebastiano, ma è sicuro che un tempo il centro abitato finiva in concomitanza con lo scorrere delle acque del fiume e che quindi si arrivasse fin lì perché non c’era altro posto dove continuare la processione non essendoci altre case.

San Sebastiano, il Te Deum al fiume Calagni, foto di Teresa Calanni

Dopo la recita del Te Deum continua la questua lungo le vie del centro con qualche sosta obbligata per riposarsi e rifocillarsi un po’. Lo ricordiamo, i nudi portano in spalla il pesante fercolo, incuranti del tempo, dei piedi scalzi e delle impervie salite o dell’acqua fredda che devono attraversare. Molto caratteristici e belli alcuni passaggi da dove si può ammirare la processione di San Sebastiano. Una fiumana di gente tutta vestita di bianco si può vedere lungo le strette vie, per esempio quella che porta alla chiesa della Batia. E, ancora, tutti i devoti che sulle note della banda musicale imboccano strade in salita correndo e dandosi quello slancio necessario per affrontare i punti più impervi.

Al termine della questua, solitamente nel tardo pomeriggio, il simulacro del Santo viene riposto insieme alle reliquie nella centrale chiesa di San Nicolò, non prima di aver fatto un balletto sul sagrato per tre volte. Il tre è un numero ricorrente anche prima che il simulacro esca dalle chiese prima di ogni processione. È come se il Santo stesso facesse degli inchini a Dio e alla Madonna e affidasse a loro i pensieri e le richieste dei suoi fedeli. Al rientro dalla processione compie sempre tre giri per ringraziare Dio e la Madonna per aver potuto stare in giro per le vie del “suo” paese e continuando a portare loro le richieste dei fedeli.

San Sebastiano alla caserma dei carabinieri, 20 gennaio, foto di Maria Teresa Anastasi
San Sebastiano, luminarie nella chiesa madre, foto di Maria Teresa Anastasi

Una volta riposto nella chiesa di San Nicolò, la pesante vara ci resterà fino alla domenica più vicina al 27 gennaio.

L’OTTAVA

L’attesa è finita, dopo al massimo una settimana, i devoti si vestono di nuovo di bianco, si tolgono le scarpe e i cappotti per andare a rendere ancora omaggio al loro Santo patrono Sebastiano. Al termine della messa delle 11.00 continua la questua in zone in cui il Santo non era stato giorno 20 gennaio. Intorno alle 16.00 del pomeriggio, poi, i fedeli arrivano in piazza duomo e le donne in due file parallele e ordinate iniziano la processione, con tanto di croce e sacerdoti in paramenti sacri, precedendo la vara di decine di metri.

San Sebastiano, la foto nella foto, di Teresa Calanni
San Sebastiano, la vara in movimento, foto di Donatella Lupica
San Sebastiano dall’alto, foto di Donatella Lupica
San Sebastiano, la vara, foto di Donatella Lupica
San Sebastiano a fianco della chiesa madre, foto di Leandro Dottore

San Sebastiano a Romanò, foto di Sebastiano Bellomo

Una volta arrivati di nuovo in piazza duomo le donne si dispongono in cerchio e all’arrivo del fercolo, questo viene fatto “ballare” per tre volte in giro nella piazza. Un tempo al centro della piazza c’era la statua del re e poi con il passare dei decenni è diventata una tradizione, così come la cosiddetta “ballata d’a vara”. Sul campanile continuano a risuonare le campane, le luminarie inneggiano a San Sebasiano e il Santo per tre volte entra ed esce dalla chiesa. L’ultima volta si affaccia nuovamente sul sagrato della chiesa per dare un ultimo saluto ai fedeli.

San Sebastiano dall’alto, ottava, foto di Natale Arasi
San Sebastiano entra nella chiesa di San Francesco, foto di Leandro Dottore
San Sebastiano, luminarie, foto di Eleonora Foraci
San Sebastiano, un sacerdote e i devoti, foto di Donatella Lupica

LA MESSA DEL PERDONO

Il giorno seguente all’ottava i devoti, questa volta non vestiti di bianco, rendono per l’ultima volta omaggio al Santo patrono partecipando alla messa detta del “perdono”. Si tratta di un momento per chiedere perdono per eventuali peccati commessi durante la settimana tra la festa e l’ottava. Proprio durante questa celebrazione eucaristica, poi, viene benedetto l’olio con cui si bagna il cotone poi distribuito ai fedeli. 

San Sebastiano, l’olio santo durante la messa del perdono, foto di Melina Anastasi
San Sebastiano e il giro per la chiesa per il perdono,foto di Melina Anastasi

LA FESTA DI MAGGIO
A Maggio la festa di San Sebastiano si ripete. Il motivo è da ricondurre all’attività pastorizia che era molto prevalente soprattutto in passato e la festa di maggio era un modo per far partecipare alla festa anche i mandriani che in inverno si trovavano in posti di mare con le loro mandrie. Oggi la tradizione si ripete e la festa si snoda tutta in un fine settimana e si conclude con la “ballata d’a vara” al termine della processione solenne preceduta dalle donne in bianco e in file parallele.

Il simulacro di San Sebastiano, inoltre, viene ripreso dalla sua celletta il lunedì dell’Angelo quando viene fatto affacciare dal balcone che si trova dietro l’altare maggiore per benedire il paese e tutti i raccolti.

 Tutte le foto inviate alla nostra redazione nella seguente galleria fotografica: 

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