Brescia: operazione “Leonessa”, 70 arresti e sequestri per 35 milioni di euro

Una settantina di persone sono state arrestate oggi in tutta Italia nell’ambito dell’operazione denominata Leonessa e sono stati eseguiti sequestri per 35 milioni di euro. La procura della repubblica di Brescia, direzione distrettuale antimafia, ha accertato l’operatività di una cosca mafiosa di matrice stiddare (quindi siciliana) con quartier generale a Brescia che ha pesantemente inquinato diversi settori economici attraverso la commercializzazione di crediti d’imposta fittizi per decine di milioni di euro.

La Stidda, nella sua versione settentrionale, si è dimostrata capace di indossare giacca e cravatta e così sostituire ai reati tradizionali nuovi business, utilizzando quale anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori “colletti bianchi” che individuavano tra i loro i clienti soprattutto tra Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Calabria e Sicilia.

L’indagine ha svelato anche numerosi reati tributari e fenomeni corruttivi. Da questa notte, circa 300 unità della squadra mobile e del nucleo della polizia di Stato e dello Scico della guardia di finanza hanno eseguito gli arresti e i sequestri nonché effettuare un centinaio di perquisizioni per un totale di 200 indagati circa.

La Stidda, organizzazione mafiosa siciliana che alla fine degli anni Ottanta in Sicilia si era militarmente contrapposta a Cosa Nostra rendendosi anche responsabile di efferati omicidi nei confronti di uomini dello Stato nella sua versione settentrionale.

L’organizzazione mafiosa ha permesso a centinaia di imprenditori di evadere il fisco per diverse decine di milioni di euro, cedendo crediti fiscali inesistenti con effetti discorsivi sull’economia reale ulteriormente condizionata dai reinvestimenti dei profitti illeciti conseguiti.

L’indagine ha permesso di monitorare l’evolversi dei rapporti tra i due sodalizi che hanno siglato una vera e propria pax mafiosa, consapevoli, come affermato da uno degli indagati che “la guerra non porta a niente…la pace porta a qualcosa”.

La leadership della cosca settentrionale è stata assunta da un triumvirato composto da personaggi di elevata caratura criminale che già in passato avevano ricoperto ruoli di vertice nella stidda gelese e nelle sue proiezioni lombarde.

Gli stiddari, mimetizzati nel nuovo ambiente operativo, hanno messo a disposizione degli imprenditori del nord i propri servizi illeciti che consistevano nella vendita di crediti fiscali inesistenti utilizzati per abbattere il debito tributario.

L’anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori era rappresentato dai colletti bianchi che individuavano tra i loro clienti quelli disponibili al risparmio facile e che ora dovranno rispondere del reato di  indebita compensazione di tributi.

In un anno e mezzo il gruppo criminale è riuscito a commercializzare crediti fiscali inesistenti per circa 20 milioni di euro, ceduti ad imprenditori operanti tra i più svariati settori dell’economia.

Seppure in giacca e cravatta, gli stiddari hanno mantenuto le antiche modalità mafiose, fedeli ai comportamenti tipici della mafiosità, manifestando capacità di intimidazione nei confronti della concorrenza e di affiliati ritenuti inaffidabili, offrendo, in aggiunta ai crediti fittizi, protezione agli imprenditori che ne hanno fatto richiesta, estromettendo con violenza i partecipi delle società in cui avevano reinvestito i proventi illeciti.

Le indagini hanno permesso di ricostruire le attività di reimpiego e riciclaggio nei settori della consulenza amministrativa, finanziaria e aziendale, della sponsorizzazione di eventi e del marketing sportivo, del noleggio di auto, barche ed aerei, del commercio all’ingrosso, di studi medici specialistici, della fabbricazione di apparecchiature per illuminazione e della gestione di bar. Le fonti di finanziamento illecito derivanti dai reati tributari diventano lo strumento per radicarsi nell’economia reale, come una vera e propria “metastasi” criminale che inquina l’ordine e la sicurezza economico-finanziaria.

L’indagine è stata anche una vera e propria lente di ingrandimento sulla città di Brescia, consentendo di individuare dinamiche patologiche, focalizzarle, reprimerle. Oltre a quello mafioso sono emersi altri due filoni investigativi: uno riguardante le fatture per operazioni inesistenti per circa 230 milioni di euro e l’altro afferente a varie condotte corruttive dove gli imprenditori ottenevano significativi risparmi fiscali.

Nel corso dell’operazione sono stati emessi decreti di sequestro per il recupero del maltolto, allo stato delle indagini quantificabile in oltre 35 milioni di euro.

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