Taormina (Me): le mani della mafia sugli appalti pubblici, 2 arresti

La mafia aveva messo le mani sugli appalti pubblici. Per questo i carabinieri della compagnia messinese di Taormina e di quella catanese di castigliane di Sicilia, hanno eseguito un’ordinanza emessa dal gip di messina nei confronti di Rosario Russo, 25 anni, originario di Castiglione di Sicilia e di Francesco Confalone, 36 anni, originario di Malvagna, nel messinese, ma residente in Germania.

I due arrestati sono elemeti di spicco del clan mafioso RagagliaSangani, affiliato alla consorteria Laudani ed egemone nella frazione nord-orientale dell’area sub etnea.

Il provvedimento arriva a seguito dell’indagine denominata Porto franco svolta dai carabinieri di Taormina e che si è avvalsa anche di intercettazioni telefoniche e ambientali. È stato così riscontrato un grave quadro indiziario in cui i soggetti emergono come responsabili di tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Le indagini erano state avviate nel 2016 a seguito di una denuncia sporta a Malvagna dal responsabile di un cantiere di Paternò che si era aggiudicato l’appalto pubblico  per un importo di oltre 630 mila euro, per i lavori di completamento della circonvallazione di Malvagna.

In particolare, era stata trovata una bottiglia di plastica contenente del liquido infiammabile, un accendino e un biglietto cno su scritto in dialetto siciliano “Ceccati u amico buono di cussa” ,ossia “cercati un amico buono in fretta”. La bottiglia con il messaggio chiaramente intimidatorio era stata trovata attaccata alla maniglia di una macchina escavatrice.

Immediatamente erano state avviate le indagini che prima si erano rivolte su alcuni pregiudicati del circondario e, successivamente, si concentravano su Russo e Confalone che erano stati notati mentre si aggiravano con fare sospetto nei pressi del cantiere in fase di avvio.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali i carabinieri hanno potuto appurare che Russo e Confalone erano coinvolti nella tentata estorsione e il loro modo di fare era finalizzato a costringere le vittime ad accettare il pagamento per ottenere la protezione criminale da loro fornita.

Nonostante le pressioni da parte dei due arrestati la vittima è sempre stata determinata non cedere ad alcun tipo di ricatto. La sua resistenza ha indotto gli indagati ad inasprire i toni delle minacce, lasciando presagire un’escalation nella gravità degli atti intimidatori che avrebbero messo in campo e di cui la bottiglietta con il liquido infiammabile avrebbe costituito soltanto l’inizio.

Proprio il biglietto sulla bottiglia ha costituito un ulteriore elemento di prova a carico dei due arrestati e ha permesso di chiudere il cercio sulla loro responsabilità.

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