Palermo: disarticolata cosca mafiosa di Brancaccio, 34 arresti

È ancora notte su Palermo. La città e buia. Un silenzio rotto dalle auto della polizia che sfrecciano a velocità. E poi rumori di portiere che sbattono e uomini che corrono. Corrono per portare a compimento un’operazione antimafia. In manette 34 persone. Disarticolata la cosca mafiosa di Brancaccio. Fra gli arrestati anche degli insospettabili.

Cosa nostra è riuscita a reclutare insospettabili in tutti gli ambiti della città. Nel blitz di stanotte, coordinatore dal procuratore Francesco Lo Voi, è stato arrestato anche il fratello di Giovanni Lo Porto, l’operatore umanitario rapito da Al Qaeda nel 2012 in Pakistan. L’uomo era stato ucciso tre anni fa da un drone americano nel corso di un’operazione antiterrorismo.

Oggi la polizia e la finanza di Palermo hanno arrestato il fratello Giuseppe Lo Porto. Il fratello maggiore di Giovanni che convocava le conferenze stampa per chiedere verità e giustizia al presidente Obama. Era un fidatissimo del capomafia di Brancaccio, Pietro Tagliavia, rampollo di una storica famiglia di mafia coinvolta nelle stragi del 1992-93.

Lo Porto gestiva la cassa e la distribuzione delle mensilità alle famiglie dei carcerati. Gli introiti arrivavano dalle estorsioni imposte a tappeto nella parte orientale della città, ma anche da alcuni affari svelati dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria.

La mafia palermitana è riuscita a rigenerarsi ed è tornata ad essere la mafia degli insospettabili. Le indagini della squadra mobile e del Gico hanno portato in carcere l’imprenditore Francesco Paolo Clemente che ha fatto fortuna con il business delle pedane di legno.

La nuova frontiera del riciclaggio è nelle fatturazioni. Le fiamme gialle ne hanno scoperte una montagna realizzate attraverso 35 società sparse tra Lazio, Puglia, Toscana, Liguria ed Emilia Romagna. Le società sono state tutte sequestrate. Sigilli a beni per un valore di 60 milioni di euro.

E oggi a Brancaccio, nell’anniversario dell’uccisione del magistrato Paolo Borsellino, la polizia continua a lavorare. Tagliavia era stato scarcerato nel 2011 dopo otto anni di carcere. Aveva subito preso il governo del clan, fiaccato da altri arresti nel frattempo.

Per il questore Renato Cortese “Cosa nostra è in difficoltà, ma ha ancora una presenza forte sul territorio. L’assenza di denunce è un segnale preoccupante, un passo indietro nella lotta alla mafia”.

È stato oggi ricostruito l’intero organigramma delle famiglie mafiose appartenenti al mandamento, definendo ruoli e competenze di ciascun associato. In particolare, tra gli elementi di vertice spiccano Claudio D’Amore, Bruno Mazzara, Giuseppe Lo Porto, tutti fidati collaboratori di Tagliavia.

Le manette sono scattate anche ai polsi di Francesco Paolo Clemente, Francesco Paolo Mandalà, Gaetano Lo Coco. Questi tre erano incaricati del controllo delle numerose aiende, tutte intestate a prestanome, utilizzate per realizzare le frodi di natura fiscale, conseguendo il monopolio regionale e una posizione dominante nel restante territorio nazionale nella commercializzazione degli imballaggi industriali.

Arrestati, ancora, Giuseppe Caserta e Cosimo Geloso ,rappresentanti della famiglia di Brancaccio e, infine, Giuseppe Mangano, Giuseppe DI Fatta e Antonino Marino, rappresentanti della famiglia Roccella.

Le indagini, eseguite in stretto coordinamento tra il Gico della finanza e la squadra mobile di Palermo, hanno fatto luce su numerosi episodi di minacce, danneggiamento, estorsione, furto e detenzione illegale di armi da parte di esponenti della cosca di Brancaccio.

Ricostruite decine di estorsioni perpetrate ai danni sia di imprese edili impegante in importanti lavori di ristrutturazione, sia di piccole attività commerciai storicamente attive nel territorio dove la consorteria esercita il proprio dominio.

Gli arrestati a dimostrazione della propria forza in una delle feste rionali, hanno autorizzato l’installazione di stand espositivi, monopolizzando in tal modo i guadagni.

Nei casi in cui le vittime hanno cercato di resistere alle pressioni degli associati, non sono mancate le violente ritorsioni che hanno trovato manifestazione in incendi di intere attività commerciali, in episodi di violenza privata e in danneggiamenti di notevole entità.

Le indagini hanno permesso di dimostrare, inoltre, anche la disponibilità di armi degli associati. In diverse occasioni Pietro Tagliavia, direttamente o per mano dei suoi fedelissimi ha fornito la prevista assistenza economica a favore dei carcerati, dimostrata chiaramente anche dal sequestro di un registro riportante tutte le somme versate a favore dei singoli detenuti.

La strutturata attività di indagine ha permesso di dimostrare il tutale controllo di un “gruppo imprenditoriale” distribuito su diverse Regioni, ma particolarmente radicato in Sicilia e Toscana.

Le aziende in questione si sono sottratte agli accertamenti fiscali e alla coattiva riscossione delle imposte accertate in seguito a verifiche fiscali, arrivando a sviluppare complessivamente volumi d’affari per oltre 50 milioni di euro all’anno. Con gli affari illeciti foraggiavano senza sosta la cosca mafiosa di riferimento, destinataria finale dei proventi derivanti dalla vendita degli imballaggi industriali incasati senza il versamento delle imposte.

Il gruppo di imprese ha potuto prosperare e guadagnare posizioni di mercato a discapito degli operatori corretti, diventando uno dei leader nazionali del settore, anche in virtù dei prezzi particolarmente concorrenziali praticati. Nel corso delle operazioni, la polizia di Stato e la guardia di finanza stanno procedendo al sequestro di numerosi veicoli e autoveicoli utilizzati per commettere reati, nonché delle aziende riconducibili agli esponenti mafiosi finiti in manette.

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