Catania: mafia sui Nebrodi, 9 arresti

Nove persone sono state arrestate su disposizione della Direzione distrettuale antimafia di Catania, accusate di appartenere all’articolazione di cosa nostra etnea operante nei comuni di Bronte, Cesarò e Maniace, nonché di essere autori di atti estorsivi aggravati dal metodo mafioso.

Il provvedimento è stato eseguito nelle prime ore di martedì 14 febbraio dai carabinieri del Ros di Catania e della compagnia di Santo Stefano di Camastra. Ieri pomeriggio sono stati emessi i provvedimenti di fermo dal gip del tribunale di Catania, nonché di Ragusa e Caltagirone.

L’indagine, denominata Nebrodi, trae spunto da quanto accaduto a Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi, vittima di un attentato estorsivo nelle prime ore del 18 maggio scorso in località San Fratello, rimanendo illeso.

I riflettori si sono puntati sulla mafia dei pascoli e si è rilevato che la vittima dell’attentato aveva riscontrato che la conduzione dei terreni gestiti dal Parco, per lungo tempo affidata ad assetti aziendali contigui o riferibili ad aggregati mafiosi che, in tal modo, riuscivano ad ottenere importanti contributi comunitari erogati dall’Agea e a drenare importanti flussi finanziari destinati al settore agricolo. Per questo era nato il protocollo Antoci che prevedeva requisiti di legalità per partecipare ai bandi per l’affidamento dei terreni pubblici. Un protocollo che ha prodotto effetti preclusivi per le aziende non in grado di avere la certificazione antimafia.

A giugno del 2016 era stato avviato un primo filone di indagine incentrato sulla figura di Salvatore Catania, già elemento di vertice del clan mafioso operante nell’area territoriale tra i comuni di Maletto, Bronte, Maniace e Cesarò, saldamente legato a cosa nostra catanese facente capo ai Santapaola-Ercolano.

Era Salvatore Catania l’elemento indispensabile nei maggiori momenti relazionali dell’associazione cosa nostra etnea. Il secondo filone di indagine, invece, era partito dalla feroce intimidazione ai danni di un allevatore di Cesarò.

Una prima analisi della situazione patrimoniale e delle attività economiche della persona offesa e gli iniziali accertamenti portavano a ricondurre il gesto ad una più ampia attività estorsiva diretta nei confronti di questi e di altri due suoi soggetti, con i quali il primo aveva già formalizzato preliminari di acquisto di terreni, con una estensione di circa 120 ettari ricadenti nel parco dei Nebrodi, per i quali il prezzo finale di acquisto era stato concordato in 440 mila euro e con profitti stimati sull’ordine dei 50 mila euro all’anno.

L’immediata attività di indagine, che si scontrava con un muro di omertà e reticenze, consentiva di stabilire che il delitto in parola, maturato in un preciso ambito di criminalità organizzata di stampo mafioso, vedeva come protagonista Giovanni Pruiti che, insieme a Carmelo Lupica Cristo, Carmelo Triscari Giacucco, Giuseppe Corsaro, Antonino Galati Giordano, Luigi Galati Giordano e Salvo Germanà, si era adoperato per indurre quei promissari acquirenti di estesi appezzamenti di terreno, a recedere dalle trattative benché fossero state formalizzate e perfezionate col versamento di caparre.

Le indagini hanno dimostrato un forte legame tra Pruiti e Salvatore Catania. quest’ultimo, grazie anche al su fidato Roberto Calanni, risultava assolutamente egemone su tutta quell’area nebroidea.

Le evidenze raccolte attraverso attività tecniche e tradizionali metodi investigativi, hanno documentato come il sodalizio riuscisse ad ostacolare con il metodo mafioso ogni libera iniziativa agricolo-imprenditoriale e condizionare fortemente il libero mercato. Danneggiamenti, furti, uccisione di animali ed estorsioni sono divenuti ordinario strumento per indurre i proprietari a riconoscere come unici interlocutori gli aggregati mafiosi che sceglievano di volta in volta la condotta da tenere.

I provvedimenti di fermo sono diventati urgenti dopo che un imprenditore è stato minacciato, anche di morte, in pieno centro e non senza atti di estrema violenza.

Maria Chiara Ferraù

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