Caltanissetta: operazione Kalyroon, 18 arresti

Diciotto persone arrestate, due ancora  ricercate. Si è conclusa così l’operazione della polizia di Caltanissetta denominata Kalyroon che ha coinvolto diversi associati mafiosi alla famiglia di San Cataldo. L’operazione è stata condotta dalla squadra mobile di Caltanissetta, diretta da Marzia Giustolisi e dal dirigente della sezione criminalità organizzata, Vincenzo Perta in collaborazione con le squadre mobili di Milano, Bergamo, Mantova e Parma.

Le diciotto persone coinvolte nell’inchiesta dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, aggravata dall’essere armata, estorsione consumata e tentata, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata alla prostituzione minorile, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

In carcere sono finiti: Maurizio Calogero Di Vita, 46enne di San Cataldo; Antonio Domenico Cordaro, detto “mortadella”, anche lui di San Cataldo, 50 anni; Salvatore Cordaro, 53 anni; Alfonso Renato Lipari, 45 anni; Carmelo Gisabella, 49enne di Caltanissetta; l’albanese Elis Deda, 32 anni; Vincenzo Scalzo, 41 anni; Cataldo Blandina, 41 anni; Pietro Mulone, 40 anni; Angelo Giumento, 35 anni; Gioacchino Chitè, 54 anni; Vincenzo Ferrara, 46 anni e il 32enne Adrian Daniel Pirvanescu di nazionalità romena.

Arresti domiciliari, invece, per: Diana Chiritoiu, romena 30enne; Marco Scalzo, 25enne di Prato; Salvatore Ferrara, 47 anni di San Cataldo; Salvatore Cagnina, 38enne di San Cataldo; Giovanni Germano Paladino, alias “Giovanni Chiacchiera”, 40enne di Caltanissetta; Fabio Ferrara, 42enne di Caltanissetta e Francesco Liuzza, 42enne di Canicattì.

I due romeni Adrian Daniel Pirvanescu e Diana Chiritoiu si sono resi irreperibili.

L’indagine è stata avviata dopo le dichiarazioni rese dal testimone di giustizia Alberto Ferrauto che ha iniziato a rendere le sue dichiarazioni alla Dda a partire da giugno del 2007. Con gli inquirenti ha parlato degli affari delle famiglie mafiose operanti in diversi contesti nella provincia di Caltanissetta, tra cui il comune di San Cataldo, dove esiste una ramificazione del sodalizio mafioso quale cellula del significativo mandamento mafioso di Vallelunga Pratameno.

In seguito le indagini si sono avvalse di ulteriori dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia fra cui Pietro Riggio, Agesilao Mirisola, Ercole Iacona, appartenenti alla famiglia mafiosa di Caltanissetta e Ciro Vara di Vallelunga Pratameno, ma anche di dichiarazioni di soggetti gravitanti negli ambienti criminali, anche di tipo mafioso, dell’abitato di San Cataldo quali Rosario Fabio Cammarata ed Emanuele Ferrara che hanno offerto conferme importanti in merito alle acquisizioni raccolte sulla base delle attività tecniche. A rendere dichiarazioni alla giustizia anche i collaboratori di Gela Massimo Carmelo Billizzi, Crocifisso Smorta e Carmelo Barbieri che hanno fornito indicazioni utili sui mafiosi di San Cataldo in merito alla loro mai estinta posizione di comando nella famiglia mafiosa di riferimento.

Le indagini si sono avvalse di intercettazioni telefoniche, ambientali ed immagini di video sorveglianza. Tutti gli elementi acquisiti hanno permesso di appurare che alla famiglia mafiosa di San Cataldo appartengono Di Vita e Antonio Domenico e Salvatore COrdaro, già ritenuti organici a Cosa Nostra di quel centro nell’ambito dell’operazione denominata “Leopardo”, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Leonardo Messina.

Già tra il 1980 e il 1985, Salvatore ed Antonio Cordaro (inteso Mortadella) e anche Maurizio Di Vita, erano soggetti a disposizione di Messina per lo spaccio di sostanze stupefacenti per compiere attentati estorsivi ai danni di imprese, per fare da corrieri delle armi.

Una volta tornati in libertà Di Vita e i due Cordaro avevano continuato a delinquere, quindi a partire dal 2003 con la scarcerazione di Salvatore Cordaro. Le attività del sodalizio si sono ancora di più accentuate nel 2007 dopo la scarcerazione di Di Vita. Con il suo ritorno in paese la situazione di vertice della famiglia mafiosa di San Cataldo ha subito un ulteriore mutamento poiché Di Vita, forte anche dell’investitura da parte di Terminio Cataldo, storico capo del sodalizio radicato in tale territorio e da tempo in carcere, è riuscito nell’intento di riprendere in mano le redini delle attività illecite gestite dall’organizzazione criminale, diventando il reggente della famiglia mafiosa, erodendo il potere sino ad allora mantenuto da Salvatore Calì, assassinato a San Cataldo il 27 dicembre del 2008.

Le indagini hanno dunque fatto emergere non solo la perdurante appartenenza di Di Vita e dei fratelli Cordaro alla famiglia di San Cataldo, ma anche la più recente organicità al sodalizio mafioso di Alfonso Lipari e le modalità attraverso cui gli esponenti mafiosi di San Cataldo hanno esercitato il loro potere sul territorio e le attività illecite attraverso cui hanno ricavato le risorse economiche da destinare agli affiliati, prime fra tutte l’attività estorsiva, esercitata anche attraverso la classica forma dell’imposizione di ditte riconducibili agli appartenenti al sodalizio mafioso.

In riferimento proprio alle estorsioni, grazie alle dichiarazioni dei pentiti, si è appurata la piena responsabilità di Maurizio Di Vita e di Antonio Cordaro per due estorsioni compiute a San Cataldo, la prima nel 1999 ai danni di Carmelo Gangemi, costretto a veresare 30 milioni di vecchie lire per un appalto per i lavori di miglioramento ed adeguamento dell’incrocio con la strada provinciale per San Cataldo e la seconda messa a segno nel 2006 solo d Antonio Cordaro nei confronti di Calogero Biancucci e Pasquale Maiorana, costretti ad affidare lavori in sub appalto a ditte di sua fucia per la realizzazione di diversi edifici.

Dalle indagini è emerso un dato inquietante. I commercianti che subivano rapine o furti si rivolgevano ai mafiosi a cui evidentemente avevano pagato il “pizzo”.  

Inoltre, i collaboratori di giustizia hanno dichiarato come il sodalizio criminale si occupava anche di droga monopolizzando il mercato degli stupefacenti a San Cataldo, centro limitrofo alla città capoluogo. Gli indagati si davano spesso appuntamento in un luoghi pubblici, in un bar e nel piazzale antistante all’Air pub a San Cataldo.

Documentati anche innumerevoli incontri fra Carmelo Gisabella, Diana Chiritoiu ed Elis Deda e gli indagati odierni. In un anno sono stati contati 45 incontri con Lipari e Cordaro. I motivi erano i più disparati: ragazze da presentare, motori di auto, consegne di autovetture, ecc. in alcuni incontri monitorati si è assistito allo scambio di pacchetti, di involucri o alla consegna di somme di denaro, che porta a concludere per la bontà della tesi prospettata secondo cui gli innumerevoli appuntamenti registrati tra gli odierni indagati fossero finalizzati alla fornitura della sostanza stupefacente da parte del Gisabella e Deda ai sodalizi stanziati in San Cataldo ed alla regolazione delle questioni alla stessa afferenti.

Ricostruita anche la rete di spaccio collegata agli esponenti mafiosi di San Cataldo che vedeva coinvolti molti soggetti legati ai Di Vita e ai fratelli Cordaro per la conduzione dell’attività di spaccio sul territorio di cocaina ed eroina.

Nel corso delle indagini è stato svelato anche l’esercizio della prostituzione ad opera di ragazze romene nella disponibilità degli odierni indagati, in particolare di Gisabella, Chiritoiu e Pirvanescu. I tre avevano dato vita ad una struttura che è stata in grado di gestire per un apprezzabile lasso di tempo l’attività di prostituzione esercitata dalle ragazze, curandone minuziosamente tutte le fasi relative al reclutamento delle donne nel luogo di origine, al successivo trasferimento in Italia ed alloggio in immobili a disposizione degli indagati, al procacciamento dei clienti ed al consequenziale sfruttamento economico delle prestazioni sessuali a pagamento offerte.

Maria Chiara Ferraù

 

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