Paternò (Ct): operazione “En Plein”, 16 arresti

Sedici persone in manette. Si è conclusa così a Paternò l’operazione antimafia denominata “En Plein” condotta dai carabinieri del comando provinciale di Catania che hanno dato esecuzione ad un provvedimento restrittivo emesso dal gip, su richiesta della Dda.

Gli arrestati sono ritenuti appartenenti ai due gruppi mafiosi operanti nel territorio di Paternò, in particolare alle famiglie dei Santapaola e dei Laudani.

Le indagini erano state avviate dopo alcuni efferati fatti di sangue nell’estate del 2014. Diversi i reati contestati: dall’omicidio, al tentato omicidio, all’associazione mafiosa nonché al possesso di armi da fuoco.

In particolare, sono finiti in carcere: Antonino Barbagallo, 39 anni; Alessandro Giuseppe Farina, 30 anni, Rosario Furnari, 37 anni; Antonino Giamblanco, 50 anni; Antonio Magro, 40 anni; Vincenzo Morabito, 55 anni; Giuseppe Parenti, 33 anni, già ai domiciliari, Vincenzo Patti, 36 anni; Francesco Peci, 38 anni, già nel carcere di Siracusa; Salvatore Rapisarda, 60 anni; Vincenzo Rapisarda, 27 anni; Sebastiano Scalia, 41 anni; Pietro Giovanni Scalisi, 57 anni, rintracciato a Brescia; Angelo Sciortino, 41 anni; Giuseppe Tilenni Scaglione, 39 anni, già nel carcere di Caltagirone e Salvatore Tilenni Scaglione, 49 anni.

Le indagini presero il via dall’omicidio di Salvatore Leanza, freddato dai sicari il 27 giugno del 2014 alle prime luci dell’alba a Paternò. Leanza era stato scarcerato qualche mese prima dopo aver scontato una lunga condanna per associazione mafiosa ed omicidi, tra cui anche quello in danno di Alfio Rapisarda, avvenuto nel 1980, ed era ritenuto elemento di vertice del sodalizio mafioso degli Alleruzzo, già operante su Paternò e contrapposto a quello dei Laudani.

Già dall’inizio le indagini venivano indirizzate nei confronti di Salvatore Rapisarda, fratello di Alfio Rapisarda ed elemento di spicco del clan Laudani che, subito dopo l’omicidio di Leanza, non usciva da casa e gestiva la sua attività di parcheggio di autoveicoli dalla propria abitazione. Secondo gli inquirenti Rapisarda temeva per la propria incolumità. L’uomo venne incarcerato qualche settimana dopo l’omicidio per scontare un residuo di pena e nel carcere di Bicocca a Catania è stato avviato un monitoraggio tecnico tramite intercettazioni.

Quindici giorni dopo, il 30 luglio del 2014, Antonino Giamblanco, uomo di fiducia dell’assassinato Leanza, mentre viaggiava sulla propria auto veniva avvicinato da alcuni killer che gli hanno sparato contro. In quell’occasione l’uomo è riuscito a mettersi in fuga, rimanendo illeso. Le indagini già in corso hanno permesso di comprendere come i due delitti fossero strettamente correlati.

Il clan Morabito-Rapisarda, infatti, aveva posto in essere una strategia di eliminazione del gruppo criminale contrapposto. Secondo gli inquirenti Rapisarda sarebbe stato il mandante dell’omicidio di Salvatore Leanza, fatto che affondava le sue radici nella storia criminale di Paternò, insanguinata tra gli anni Settanta e Novanta da una violenta faida tra i due gruppi mafiosi. Proprio in quegli anni erano maturati anche gli omicidi di Rapisarda e Carmelo Tilenni Scaglione, fratello di Salvatore, oggi arrestato.

Una volta scarcerato, Leanza aveva recuperato un ruolo di primo piano all’interno del clan Alleruzzo – Assinnata, circondandosi di un gruppo di fedelissimi e formando così un proprio gruppo composto dagli indagati odierni. Il successivo tentato omicidio di Antonino Giamblanco, uno dei più stretti collaboratori di Leanza, rientrava in una strategia di completa eliminazione del gruppo di Salvatore Leanza ed era stato concepito anche per scongiurare eventuali azioni di vendetta nei confronti del clan rivale Morabito-Rapisarda. Anche di questo delitto dovrà rispondere Salvatore Rapisarda, in concorso col figlio Vincenzo Salvatore e il sodale Francesco Peci, già arrestato lo scorso ottobre del 2014 per possesso di armi da fuoco, una delle quali utilizzata nel tentato omicidio di Giamblanco.

Altre armi erano state rinvenute nella disponibilità di Giuseppe Tilenni Scaglione, in contrada Porrazzo a Paternò, nascoste in un ovile.

Determinanti per la conclusione delle indagini sono state le dichiarazioni di Franco Musumarra che si è autoaccusato quale esecutore materiale di entrambi i fatti di sangue, decidendo così di iniziare la sua collaborazione con l’Autorità giudiziaria rendendo importanti dichiarazioni ed elementi di prova a carico degli indagati.

Nei prossimi giorni sono previsti gli interrogatori. Intanto i sedici sono stati ristretti nel carcere di Bicocca a Catania.

L‘operazione “En Plein” viene commentata anche dal senatore del Pd, Giuseppe Lumia, componente della commissione parlamentare antimafia. “Quando due clan . dice – arrivano a farsi la guerra, vuol dire che in quel territorio ci sono interessi molto grossi. Sono sicuro che l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine presto porterà ad altri importanti risultati. Mi auguro che anche le istituzioni locali e la società civile rafforzino il loro impegno – conclude Lumia -per affermare la legalità”.

Maria Chiara Ferraù

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