Caltanissetta: sequestro di beni a Giuseppe Pecorino

 

Beni per un valore di oltre un milione di euro sono stati sequestrati a Giuseppe Pecorino, condannato nel 2013 per associazione per delinquere di stampo mafioso dalla corte d’appello di Caltanissetta.

I finanzieri, dopo un attento monitoraggio per verificare le cointeressenze economiche della criminalità organizzata nel settore delle cave, hanno individuato alcuni anomali negozi giuridici che precedevano la compravendita tra Pecorino e un’importante società trevigiana, operativa nel settore estrattivo, per la cessione di alcuni terreni in località Santa Nicolella nel comune di Agira, in provincia di Enna.

La società, completamente estranea agli illeciti, una volta acquistati i terreni, avrebbe proceduto alla riapertura delle attività estrattive.

La vicenda era stata anche al centro, nei mesi scorsi, delle cronache non solo regionali, ma anche nazionali, in quanto questi terreni insisterebbero in parte sul versante meridionale di Monte Scalpello, sito di interesse storico archeologico e naturalistico sottoposto anche a vincolo idrogeologico nonché paesaggistico.

Pecorino, per eludere i controlli patrimoniali successivi e vanificare le misure cautelari che avrebbero potuto riguardare i suoi beni, aveva donato al figlio, indagato anche lui in concorso con il padre per intestazione fittizia di beni, subito dopo la condanna, i terreni che sarebbero dovuti essere acquistati dalla società trevigiana. I beni però erano rientrati nuovamente in possesso di Pecorino qualche giorno prima della stipula del contratto, palesando il reale obiettivo dell’operazione.

Lo stesso Pecorino aveva inoltre venduto fittiziamente al figlio altri immobili per un importo di 450 mila euro senza incassare gli assegni con cui era stata concretizzata l’operazione. UN’ultima evidenza, questa, che acclarava ancora una volta che le operazioni avevano carattere fittizio ed erano tese solo ad alienare i beni da un punto di vista formale perché i beni, di fatto, rimanevano nella disponibilità di Pecorino padre.

Per non attirare l’attenzione delle forze di polizia sull’operazione, Pecorino aveva omesso di comnunicare alla finanza le variazioni del suo patrimonio che si erano determinate alla luce delle cessioni e riacquisizioni di beni, prescrizione obbligatoria per i condannati per reati di criminalità organizzata, secondo quanto previsto dalla legge.

Nel 2011 Pecorino era stato coinvolto nell’operazione Fiumevecchio come elemento di spicco di Cosa nostra ennese. Venne anche “raccomandato” nel 1995 da Luigi Ilardo, cugino del noto boss Giuseppe Madonia, come possibile capo provinciale della consorteria mafiosa.

Dalle intercettazioni che portarono poi alla condanna di Pecorino, si evinceva il suo stretto e continuativo collegamento con cosa nostra catanese dell’area Santapaola.

Considerata la pericolosità sociale di Pecorino è stato necessario agire con tempestività per “congelare” il patrimonio illecitamente detenuto dallo stesso. Per i reati contestati al pregiudicato, inoltre, i magistrati della Dda nissena hanno riconosciuto l’aggravante di aver commesso il fatto per agevolare Cosa nostra.

L’operazione di oggi delle fiamme gialle assume anche un valore “social” perché consente di restituire alla collettività, in prospettiva di una futura confisca, le ricchezze accumulate nel tempo dalla criminalità. Sotto sequestro sono finiti beni e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di un milione e 70 mila euro. Sigilli a terreni, case rurali e immobili ad uso di civile abitazione formalmente intestati al figlio Giuseppe Pecorino per un valore di 450 mila euro e oltre 620 mila euro, da eseguirsi sulle disponibilità finanziarie e altri beni, quale sequestro per equivalente del provento della vendita dei terreni all’impresa trevigiana.

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