Messina: diffamò la moglie di Antoci, a processo la giornalista Adele Fortino

“Spero in una condanna esemplare anche per altri soggetti con procedimenti aperti in altre procure”. Così esordisce Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi in Sicilia, alla notizia del processo alla giornalista Adele Fortino, rea di aver diffamato Antoci con alcuni suoi articoli.

Dall’epoca dell’agguato del 18 maggio del 2016 in poi, Adele Fortino aveva scritto una serie di articoli in cui poneva una serie di considerazioni sulla sua scorta e sull’agguato, fino ad arrivare a scrivere che la moglie di Antoci fosse la nipote di una nota famiglia mafiosa il cui fratello, Pietro Rampulla, venne coinvolto nella strage di Capaci.

Un’affermazione, questa, assolutamente infondata che i magistrati della procura distrettuale antimafia di Messina, Angelo Cavallo, Vito Di Giorgio e Fabrizio Monaco, coordinati dal procuratore distrettuale antimafia Maurizio De Lucia, avevano chiesto il rinvio a giudizio per diffamazione aggravata.

Più volte l’operato di Antoci era stato messo in discussione in alcuni articoli a firma della Fortino, così come l’agguato che è stato poi ricostruito poco tempo fa con nuove tecniche all’avanguardia.

Secondo la Dda di Messina, invece, furono utilizzate tecniche militari dal commando mafioso, a seguito delle “penetranti azioni di controllo e repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo” poste in essere da Antoci con l’attuazione del protocollo Antoci oggi diventato legge nazionale.

“Noi lo ricordiamo bene – dichiara Antoci – quel 23 luglio 2016. Ci stavamo preparando per andare al matrimonio del figlio di un nostro caro amico, al quale volevamo essere presenti nonostate cerchiamo di evitare, per ovvie ragioni, di presenziare a cerimonie. Sì, ci stavamo preparando pensando di passare una serata un po’ diversa da quelle solite a casa. Invece arrivò il pezzo della signora Fortino che, senza neanche fare una minima telefonata di riscontro, si inventa di sana pianta una parentela inesistente di mia moglie con un capomafia, della quale mette anche la foto, chiedendosi come Giuseppe Antoci, dilaniato, potesse fare antimafia avendo la mafia dentro casa”.

“Non potrò mai dimenticare – continua Antoci – i volti delle mie figlie mentre, invece di andare al matrimonio, mia moglie finiva al pronto soccorso piena di bolle rosse e con i battiti impazziti. Mortificata, amareggiata ed umiliata da un giornalismo inconcludene e stranamente persecutorio. Come è possibile che una notizia così grave e infondata e nel contempo così facilmente verificabile venga sbattuta sui social in modo così violento?”

Chi sono i soggetti che hanno informato la signora Fortino di questa “ghiotta” notizia? – Dica nomi e cognomi, li dica adesso al processo o li faccia pubblicamente sugli stessi social sui quali ha fatto impazzare la falsa notizia e lo faccia in fretta.

“A mia moglie – dichiara ancora Antoci – e alle mie figlie, la signora Fortino con la sua penna ha lasciato un solco indelebile che rimarrà nel cuore e nella mente con i tratti di un inchiostro ignobile che purtroppo non si cancella. L’inchiostro della diffamazione per colpire chi non ha fatto altro che il proprio dovere”.

“Spero in una condanna esemplare – continua Antoci – una condanna che colpisca anche tutti coloro che hanno utilizzato la notizia per infangare, anche attraverso condivisioni volontarie e scientifiche su Facebook. Anche per loro arriverà la giustizia ed io saprò attendere perchè la violenza che io attribuisco all’accaduto non è seconda certamente all’attentato mafioso subito da me e dalla mia scorta quel 18 di maggio. Le pallottole di fango fanno più male soprattutto quando colpiscono una moglie e delle figlie che nella loro vita hanno fatto dei valori e della dignità la loro strada maestra”.
Riguardo alle varie attività diffamatorie poste in essere da più soggetti e volte a colpire il Presidente Antoci, ricordiamo le forti parole del Capo della Polizia Prefetto Gabrielli, il 6 febbraio, durante la presentazione a Roma del libro di Giuseppe Antoci e Nuccio Anselmo – La mafia dei Pascoli – “In questo Paese – dice Gabrielli – non ti devi solo difendere dalla mafia e dalla criminalità ma anche da zelanti mascariatori prodighi di comunicazione e pronti a inoculare sospetti in ogni occasione”. Un chiaro e forte messaggio a chi in questi anni, dopo il gravissimo attentato subito da Antoci e dagli uomini della sua scorta, ha cercato di delegittimarlo con “fake”, così le ha definite il Capo della Polizia, orientate a bloccare l’opera forte di contrasto alle mafie nel Paese che da quei Nebrodi è partita risalendo lo stivale.

“Un giorno – dichiara Antoci – un Magistrato in una manifestazione pubblica subito dopo l’attentato disse alla platea: “Se qualcuno pensa di fermare Antoci delegittimandolo, sappia che se la vedrà con lo Stato”. Allora io non capii, ma adesso sì… ho capito bene sperimentando sulla mia pelle e quella della mia famiglia questo metodo assurdo e vigliacco, quello della macchina del fango”.

Adesso cominciano per loro i primi processi e certamente tutti si augurano le prime condanne esemplari “mi auguro – conclude Antoci – che l’ordine dei Giornalisti valuti i provvedimenti conseguenti ai profili deontologici della vicenda Fortino. Bisogna dare valore ai tantissimi giornalisti che hanno perso la vita compiendo il loro lavoro e a chi, come Paolo Borrometi, la stava perdendo. Il mio pensiero va anche ai quei 20 giornalisti che, come me, oggi hanno perso la libertà e vivono sotto scorta. A loro e a tutti i giornalisti valorosi di questo Paese va il mio rispetto e la mia gratitudine”.

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