Messina: Antoci, “ecco perché volevano uccidermi”

“A due anni dal vile attentato che ha colpito me e la mia scorta oggi è tutto più chiaro” – lo afferma Giuseppe Antoci, ex presidente del parco dei Nebrodi e responsabile nazionale legalità del partito democratico, nel giorno del secondo anniversario dell’attentato mafioso subìto.

“Da anni tutti i capi mafia siciliani e non solo, incassavano milioni di euro di Fondi Europei per l’agricoltura senza colpo ferire, e mentre gli agricoltori venivano intimiditi, affinché non partecipassero ai bandi pubblici per l’affitto dei terreni, mentre magistrati e uomini dello Stato cadevano sotto i colpi di cosa nostra, mentre si piangevano i morti delle stragi, mentre accadeva tutto questo, loro se la ridevano ed incassavano fondi pubblici con rendimenti che superavano anche il 2000%, neanche il mercato delle droga” – dichiara Antoci.

“Tra i vari percettori di Fondi Europei c’era, per esempio, un agricoltore particolare. E’ incredibile ma era proprio lui: Gaetano Riina, il fratello del capo di cosa nostra Totò Riina. Gaetano Riina, è un mafioso, ma non lo era per l’Unione Europea, anche se era stato condannato. Ma come li ha ottenuti questi fondi il cosi detto zio Tanino? Questi non possono essere concessi a chi ha subìto una condanna per associazione mafiosa nè tantomeno a chi è sorvegliato speciale. E ci mancherebbe.

Però in un Paese che fa della lotta alla mafia un vessillo da ergere come un muro, in un Paese che ha dovuto subire l’uccisione, per mano mafiosa, di tanti servitori dello Stato, ecco, in quel Paese le autocertificazioni antimafia liberavano invece ogni dubbio. Per anni hanno autocertificato di essere a posto con le norme antimafia e dunque incassavano fondi pubblici” – continua

Antoci.

L’Italia sul fronte degli aiuti diretti all’agricoltura, riceverà per il periodo 2014-2020 miliardi di euro. Un mare di soldi… biondi come il grano….che si aggiungono a quelli dello Stato e della Regione. “A Belmonte Mezzagno in provincia di Palermo – dichiara ancora Antoci – si era risusciti addirittura ad ottenere fondi comunitari su tre terreni che erano stati confiscati per mafia alla famiglia Spera, e questo  tra il 2004 e il 2009, nonostante i terreni a Spera fossero stati già confiscati nel 1997 e dunque non avrebbero potuto certamente ricevere fondi pubblici.

Ad Enna sono stati sequestrati beni, terreni e conti correnti a Salvatore Seminara, indicato come il reggente di cosa nostra per la provincia di Enna, anche lui ha incassato Fondi Europei per l’agricoltura anche su terreni di persone decedute, sempre autocertificando il falso. Ed è proprio dei giorni scorsi la sua condanna a risarcire i primi 509 mila euro. Ed ancora, le famiglie Pruiti e Catania, legati alle famiglie Santapaola/Ercolano, sottoposti al sequestrato dei beni per essersi appropriati dei terreni altrui falsificando i documenti, senza il consenso dei legittimi proprietari, o con l’uso della forza. Ma questi sono solo pochi esempi della spartizione di una torta che, nella programmazione precedente, solo in Sicilia, è valsa 5 miliardi di euro” – continua Antoci.

Dal 2010 la corte dei Conti ha emesso centinaia di sentenze in cui si condannano esponenti di spicco delle organizzazioni mafiose a risarcire le somme ottenute come contributi all’agricoltura.

“Sono tante le famiglie mafiose che hanno ottenuto in questi anni contributi europei nonostante molti dei loro esponenti si trovassero in carcere o fossero già condannati. Questo perché fino al nostro impegno e alla creazione del Protocollo di Legalità, oggi legge dello Stato, non esisteva alcun controllo sia nell’assegnazione che nell’erogazione di questi fondi: era un business rapido e senza rischi. Per gestire un traffico di droga, per esempio, i tempi sono lunghi, il giro è internazionale e si rischiano pene altissime. Invece sui Fondi Europei per l’Agricoltura il guadagno era altissimo, si faceva in fretta, il rischio era bassissimo come le pene se fossero stati incriminati – continua Antoci.

Ma che il tema non fosse solo siciliano lo si era capito subito dopo l’attentato del 18 maggio 2016 ai danni del Presidente Antoci. Cominciarono a uscire fuori fatti riguardanti altre località: Calabria ed altre regioni, anche del Nord, dove il metodo di incasso milionario dei Fondi Europei, a discapito degli onesti agricoltori, era diventato un metodo oleato e che durava da anni.

Anche la vicenda dell’uccisione del giornalista slovacco Jan Kuciak e della fidanzata  è collegata all’erogazione dei Fondi Europei per l’agricoltura nelle mani della ‘ndrangheta e pare sia stato fermato prima che continuasse a parlare di ciò che avveniva in Calabria e in Slovacchia.

“La verità è – continua Antoci –  che se ognuno avesse fatto il proprio dovere, se si fosse vigilato sulle erogazioni dei Fondi Europei, evitando così che andassero nelle mani delle mafie italiane, se ognuno avesse svolto il proprio compito con diligenza e con coraggio, non ci sarebbe stata, per noi, l’esigenza di intervenire quando ormai il gioco si era fatto duro e pericoloso. Eravamo certi di aver messo le mani su una delle fonti principali di  approvvigionamento economico delle mafie e siamo andati avanti, anche percependone i rischi. Con il nostro impegno abbiamo prodotto una legge dello Stato e oggi sono tante le operazioni di servizio delle varie Forze dell’Ordine che hanno conclamato l’associazione mafiosa finalizzata al percepimento dei Fondi Europei per l’Agricoltura.

Ma tutto ciò poteva essere senz’altro evitato, bastava solamente che ognuno avesse fatto il proprio dovere…solo quello. Questa vicenda ha però comportato tanto dolore e tanta sofferenza e non ultimo il sacrificio di aver perso la libertà mia e della mia famiglia, ha comportato tentativi di mascariamento e delegittimazione, non solo nei miei confronti, ma anche nei confronti di quei valorosi uomini delle Forze dell’Ordine che quella notte mi hanno salvato la vita, il dott. Manganaro e i suoi ragazzi. E come non pensare, in questo momento, a Tiziano Granata e Rino Todaro che oggi non sono più tra noi. Spero che coloro che hanno attentato alla mia vita paghino il conto alla giustizia, ma che lo paghino anche coloro che hanno depistato ed infangato, ma del resto questa è una storia già vista, la Sicilia non è nuova a queste cose.

Un pensiero anche a questo proposito va a Giovanni Falcone, il 18 di maggio giorno del mio attentato è anche il giorno della sua nascita, quest’anno avrebbe compiuto 79 anni, in vita ne ha visti di tutti i colori. Il modo migliore per ringraziarlo e ricordarlo è dire le cose come stanno, come era abituato a fare lui. Se in questi due anni una cosa è certamente accaduta è che lo Stato, attraverso il recepimento del Protocollo di Legalità nel nuovo Codice Antimafia votato in Parlamento il 26 settembre 2017, ha vinto questa partita contro la mafia e nessun mafioso potrà più autocertificare il falso: se ne facciano una ragione. Lo stato questa volta ha vinto – conclude Antoci.”

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