Catania: operazione antimafia “Caronte”, 23 indagati

Ventitre persone indagate sono state coinvolte nell’operazione antimafia condotta dai carabinieri di Catania, denominata Caronte. Gli indagati dovranno rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza e intestazione fittizia di beni.

Al centro delle indagini del Ros l’infiltrazione di Cosa nostra nei settori dei trasporti marittimi e terrestri, dell’edilizia e della grande distribuzione alimentare. Documentati, inoltre, anche rapporti collusivi con imprenditori ed amministratori locali. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati beni e quote societarie per 50 milioni di euro.

La misura abbraccia l’ingente patrimonio immobiliare, finanziario ed imprenditoriale accumulato in modo illecito dall’associazione mafiosa nelle province di Catania, Palermo e Messina, ma anche in quelle di Napoli, Mantova e Torino. Le indagini hanno confermato la vocazione imprenditoriale di Cosa nostra catanese e hanno consentito di individuare con precisione alcuni dei settori all’interno dei quali essa si è infiltrata.

Fra gli arrestati anche Vincenzo Ercolano, fratello dell’ergastolano Aldo. Era lui, avvalendosi degli imprenditori – affiliati Francesco Caruso e Giuseppe Scuto per infiltrarsi nel settore del trasporto. Alcuni degli indagati odierni hanno fatto parte del gruppo di Vincenzo Aiello, all’epoca rappresentante provinciale di Cosa nostra e che hanno continuato ad operare successivamente al suo arresto nell’ottobre del 2009, intessendo rapporti con altri esponenti della medesima organizzazione ed impegnandosi anche in attività di estorsione e di controllo della vendita della carne nella grande distribuzione mediante l’intestazione fittizia di alcune società e tramite gli accordi con l’imprenditore calabrese Giovanni Malavenda.

Gli interessi di Cosa nostra nell’ambito del settore del trasporto, la mafia ha saldato delle alleanze a livello regionale che hanno visto protagonisti esponenti della famiglia mafiosa di Catania che si sono relazionati con soggetti riconducibili ai Pastoia di Belmonte Mezzagno (Palermo), tra cui Giovanni Pastoia e Pietro Virga di cui Ercolano è socio occulto e altri imprenditori collegati a Cosa nostra agrigentina.

Le indagini hanno permesso di cogliere più puntualmente il complesso degli interessi in gioco e le interessenze tra imprenditoria e mafia nel settore della logistica, dove Cosa nostra ha esplicato la propria attività manifestandosi nella monopolizzazione del mercato mediante il procacciamento dei clienti grazie alla spendita, implicita o esplicita, del nome dell’organizzazione mafiosa e nella costituzione di ampi consorzi funzionali al controllo del mercato ed all’accentramento delle attività dirette alla percezione dei cosiddetti eco bonus.

Ruolo significativo era rivestito da Vincenzo Ercolano, titolare insieme al padre Giuseppe, di imprese di trasporti di considerevoli dimensioni. Per implementare gli affari hanno utilizzato non solo la forza di intimidazione derivante dalla sua appartenenza anagrafica ad una delle famiglie che da decenni costituiscono la famiglia catanese di Cosa nostra, ma anche i poteri e le facoltà connaturate alla sua effettiva appartenenza a quest’ultima famiglia.  I militari del Ros hanno accertato che gli ingenti guadagni derivanti dalle attività imprenditoriali svolte nel settore dei trasporti hanno anche determinato l’interesse e l’occulta partecipazione di Vincenzo Aiello e del fratello Alfio.

Vincenzo Ercolano e Vincenzo Aiello operavano nel settore anche attraverso Francesco Caruso e Giuseppe Scuto, imprenditori affiliati impegnati nel settore dei servizi correlati alle attività imprenditoriali di trasporto via terra e via mare, oltre che nel settore assicurativo, ai quali hanno fornito il proprio sostegno per sviluppare i loro affari, traendone ovviamente pari vantaggi.

Francesco Caruso, prima schierato nelle fila degli imprenditori collegati alla famiglia Riela, è poi transitato nella famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano. Gli “affari” tra Caruso e i Riela iniziarono a partire dagli ultimi anni Novante. Nel 2004 i rapporti si interruppero bruscamente e Caruso si lega alla famiglia Santapaola Ercolano per conto della quale continua ad operare nel settore della logistica e dei trasporti come imprenditore di fiducia del sodalizio mafioso. Nel 2006, precisamente il 31 luglio, Caruso, mentre si trovava alla guida della sua moto in compagnia di Giuseppe Scuto, è stato raggiunto da due proiettili esplosi con una pistola da un soggetto in sella ad un’altra moto guidata da un complice. Fortunatamente Caruso venne ferito in modo non grave e guarì in due settimane.

Dalle indagini è emerso che Cosa nostra catanese, attraverso la servizi autostrade del mare, fittiziamente intestata a Francesco Caruso, in cui avevano interessi occulti Vincenzo Ercolano, Vincenzo Aiello, Alfio Aiello, aveva stipulato con la società Amadeus spa, riconducibile ad Amedeo Matacena, un contratto di affitto di tre navi, per un costo complessivo di 120 mila euro al mese, da utilizzare come vettori per i collegamenti tra la Sicilia e la Calabria. L’attività si protrasse per circa 90 giorni con ottimi risultati nei mesi a cavallo tra il 2005 e il 2006, fino a quando si interruppe improvvisamente la navigazione con consistenti danni per la servizi autostrade del mare.

Dal 2002, con l’introduzione dell’ecobonus, incentivo economico per innovare e sviluppare le catene logistiche nel settore dei trasporti, l’associazione mafiosa favorì l’effettuazione del trasporto di merci tramite fruizione combinata di almeno due diverse modalità, con le specifiche finalità del decongestionamento del traffico su strada, nonché del raggiungimento di standard di sicurezza più elevati. Cosa nostra era riuscita a prendere contatti con esponenti politici di alto livello regionale per accelerare le pratiche amministrative. Caruso e Scuto fondarono il partito nazionale degli autotrasportatori (era il 2008) di cui assumevano rispettivamente le cariche di segretario politico e presidente. All’epoca misero a disposizione il partito all’allora presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, in occasione delle elezioni europee del 2009. Il contatto con Lombardo era stato coltivato anche attraverso Giovanni Cristaudo che direttamente si prodigava per fare ottenere agli autotrasportatori il rimborso degli econobonus, su sollecitazione di Caruso e Scuto e previo assenso di Raffaele Lombardo.

Grazie ai rapporti con il presidente Lombardo e l’onorevole Giovanni Cristaudo, la Mafia era riuscita ad inserirsi ancor meglio nel mercato ritenuto redditizio, in particolare nell’operato della pubblica amministrazione. Il sodalizio riuscì ad ottenere gli interventi legislativi /amministrativi utili alle imprese amministrate come il blocco dei Tir in orario notturno che avrebbe potuto aumentare gli incassi delle imprese riconducibili a loro ed alla organizzazione mafiosa per il servizio di agenzia relativo alla prenotazione dei biglietti sulle tratte marittime.

Durante la campagna elettorale del 2009 vennero utilizzati i camion degli aderenti al PNA per pubblicizzare il logo del partito e l’immagine di Lombardo, previo accordo tra Caruso e Lombardo che prevedeva il pagamento di denaro. somma, però, che non venne pagata né da Lombardo, né dall’Mpa. Quindi venne richiesto da Caruso un decreto ingiuntivo nei confronti del movimento per l’autonomia peri a 171.600 euro.

Le indagini confluite negli arresti di oggi hanno consentito di documentare che Cosa nostra catanese si è infiltrata nelle attività della commercializzazione della carne per la grande distribuzione. In tale ambito, infatti, sono emersi interessi dell’associazione mafiosa per le aziende di Carmelo Motta che gestivano le macellerie negli hard discount Forté; per le aziende di Giovanni Malavenda, imprenditore calabrese protetto da Cosa nostra catanese che ne curava gli interessi in Sicilia, che gestivano le macellerie in numerosi supermercati del gruppo Eurospin Sicilia.

Nell’ambito dell’indagine è stato confermato l’interesse di Cosa nostra catanese nel settore dell’edilizia nel cui ambito operano Francesco e Michele Guardo, storici appartenenti alla famiglia mafiosa catanese, particolarmente legati agli Ercolano.

Ai due pregiudicati sono state sequestrate aziende e quote di partecipazione di società che operano nel settore anche nella realizzazione di unità abitative in regime agevolato di convenzione edilizia.

Le indagini, durate diversi anni, hanno consentito di ampliare e aggiornare il quadro di situazione di Cosa nostra nella provincia di Catania e fotografare le dinamiche associative funzionali al controllo di rilevanti comparti economici dove sono stati reinvestiti gli ingentissimi capitali accumulati.

Maria Chiara Ferraù

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