Niscemi (Cl): delitto Sandri, si è chiuso il cerchio sull’omicidio

Si è chiuso il cerchio sull’omicidio di Pierantonio Sandri. Stamattina è stata notificata in carcere  l’ordinanza di custodia cautelare per il pluripregiudicato mafioso Vinzenzo Pisano, 36 anni, accusato di aver ucciso il giovane Pierantonio Sandri, scomparso a Niscemi, centro in provincia di Caltanissetta, il 3 settembre del 1995. I resti del giovane vennero trovati dagli agenti del commissariato di Niscemi nel bosco di contrada Ulmo il 19 settebre del 1999. Chiesta e ottenuta anche la custodia cautelare per Marcello Campisi, anche lui coinvolto nell’omicidio e sottoposto a fermo lo scorso 8 febbraio. Con questi ultimi due arresti si chiude il cerchio sul tremendo delitto del giovane odontotecnico.

Va ricordato che pende dinanzi alla Corte di Appello di Catania, un processo a carico di un altro soggetto minorenne coinvolto nel delitto, S.C., oggi trentacinquenne e che all’udienza dell’otto febbraio scorso i Pm della Procura dei Minori e della Procura di Catania producevano i nuovi elementi di accusa emersi dalle odierne indagini.

Le investigazioni, coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catania e condotte dalla squadra mobile, in questi ultimi mesi hanno consentito infatti di far emergere nuovi elementi sul caso dell’uccisione del giovane Pierantonio ed hanno evidenziato come la vittima fosse del tutto estranea a qualsivoglia dinamica criminale, anche di tipo mafioso.

In tal senso hanno deposto innanzitutto due importanti collaboratori di giustizia,  Antonino Pitrolo, reggente del clan mafioso di cosa nostra di Niscemi, e Giuliano Chiavetta, affiliato allo stesso clan ed autoaccusatosi dell’efferato delitto. In particolare il collaboratore di giustizia niscemese Pitrolo, ha raccontato di essere venuto a conoscenza del delitto da Salvatore Buzzone, altro affiliato del clan che gli aveva detto che gli esecutori erano stati i “ragazzi di Alfredo”, cioè il gruppo di govani che stavano intorno a Alfredo Campisi, un avvicinato al clan di cosa nostra (poi ucciso, nel mese di novembre del 1996, proprio da Pitrolo e Buzzone) che disponeva di un suo gruppo di fuoco composto per lo più da minorenni, tra cui vi era anche l’attuale collaboratore di giustizia Giuliano Chiavetta.

Pitrolo ha riferito che “non conosceva Sandri e che il ragazzo non c’entrava nulla con il clan che lui reggeva e con gli affari illeciti che gestiva”, ragione per cui egli stesso si era dissociato completamente dall’azione criminosa che era stata realizzata dal gruppo di giovani di Campisi che, sempre a dire del collaboratore, si dimostrava inaffidabile in quanto raccoglieva le estorsioni senza riferirgli nulla e si occupava di droga facendo spacciare i suoi ragazzi che erano anche assuntori di stupefacenti.

La testimonianza di Pitrolo appare coerente alla luce della ricostruzione storico-investigativa delle aspre contrapposizioni in quel momento esistenti all’interno del clan di cosa nostra di Niscemi e che culminarono, alla fine del 1996, con l’eliminazione di Alfredo Campisi. Questi era stato ucciso perché considerato pericoloso astro nascente della famiglia di Cosa nostra di Niscemi e perché aveva mire espansionistiche nel governo mafioso della città servendosi di ragazzini, alcuni dei quali minorenni, che lo “aiutavano” per ottenere della cocaina.

Inoltre il gruppo di ragazzi di cui si attorniava Campisi, tra cui il collaboratore di giustizia Giuliano Chiavetta, era solito stazionare nella piazza principale di Niscemi, frequentata anche da tutti gli altri giovani della città e si era reso protagonista di una serie di aggressioni e risse che servivano ad accreditare in paese la loro caratura criminale, in un crescendo di plateale atteggiamento di arroganza mafiosa.

A chiarire esaustivamente quanto accaduto nel settembre 1995 interveniva, nell’agosto 2009, proprio il collaboratore di giustizia Chiavetta che, come già detto, auto-accusandosi del delitto di Pierantonio Sandri, ha dichiarato che il giovane era stato ucciso perché era stato testimone oculare di un danneggiamento a mezzo incendio di un’auto, ad opera di Salvatore Cancilleri che faceva parte del gruppo mafioso.

A dimostrazione della genuinità delle propalazioni rese, va evidenziato come in sede di sopralluogo effettuato in data 19 settembre 2009, unitamente a personale della locale Squadra Mobile, Giuliano Chiavetta ha individuato il luogo di occultamento del cadavere di Pierantonio Sandri, consentendo il recupero dei resti scheletrici. Gli scavi sul sito, effettuati a mano, permettevano di rinvenire effettivamente la presenza di un cadavere, sotterrato in posizione ricurva, ancora indossante frammenti di una camicia con fondo blu e quadri di colore giallo, una scarpa sportiva di colore blu (così come indicato nella medesima denuncia); un braccialetto di caucciù e oro al polso sinistro; inoltre venivano rinvenute, nella tasca dei pantaloni, delle chiavi.

Il ritrovamento del cadavere della vittima costituiva un eccezionale elemento di riscontro alla veridicità del racconto del collaboratore di giustizia, che si mostra sicuro nel ricordare comunque modalità dell’azione e contesto in cui è avvenuto il delitto.

Le indagini e gli accertamenti effettuati hanno dunque consentito di acclarare che il ragazzo rimase vittima di un gruppo di giovani che era a disposizione del boss di cosa nostra niscemese Campisi i quali, ritenendo di essere stati notati dalla giovane vittima e temendo che lo stesso potesse riferirlo alle forze dell’ordine, decidevano il suo sequestro e la contestuale uccisione a mezzo strangolamento eseguita nei pressi del luogo ove il corpo, a distanza di oltre 14 anni, è stato rinvenuto da personale della Squadra Mobile di Caltanissetta.

Va infine ricordata la figura della professoressa Ninetta Burgio, mamma di Pierantonio Sandri, deceduta nel 2012, cui l’operazione odierna è dedicata, che dal giorno della scomparsa ha sempre cercato Pierantonio, attraverso appelli e iniziative pubbliche (lanciati molte volte su trasmissioni televisive anche nazionali), rivolgendosi a tutti coloro che potevano sapere, conoscere, invitandoli a parlare, anche con mezzi anonimi, perché diceva “…è importante per una mamma conoscere cosa è successo al proprio figlio, è importante per una comunità conoscere cosa è successo ad un proprio giovane”.

Ninetta si era persino rivolta al Presidente della Repubblica, chiedendo la  verità sul caso della scomparsa di suo figlio, rivolgendosi quindi a tutte le istituzioni, sempre in punta di piedi e sempre con estrema delicatezza, con la voce spezzata dal dolore, ma con la dignità di una madre che cercava la verità per il proprio figlio e  per il proprio Paese. Da brava insegnante, si rivolgeva ai giovani di Niscemi e della Sicilia, nel corso di numerosi convegni e dibattiti organizzati sul tema della legalità, e diceva loro che bisognava parlare sempre, raccontare sempre, non essere mai omertosi, invitava gli adulti che bisogna ascoltare sempre i loro ragazzi, non lasciarli mai soli, nei momenti di fragilità e di solitudine tipici di una persona di giovane età.

Maria Chiara Ferraù

 

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